L'evoluzione degli Archive sembra giunta ad un punto di arrivo. Il collettivo londinese che aveva esordito in pieno periodo trip-hop (1996) ha modificato lentamente il suo stile: tra passi falsi (il secondo "Take my head" che cercava di bissare la bellezza dell'esordio "Londinium" fallendo nell'impresa per via di un'ambizione pop che non aveva motivo di esistere) e svolte radicali ("You all look the same to me" introduceva un concetto di band nell'accezione rock del termine), tra sperimentazioni (la dicotomia del 2004 "Noise" vs "Unplugged") e prese di posizione più definitive (il penultimo "Lights" era un album psichedelico a tutti gli effetti, con qualche momento di indecisione che invece di spiccare finiva per passare inosservato) sono giunti a questo "Controlling crowds". Ora i compromessi non esistono più: adesso la loro musica è proiettata verso il prog, con tutte le sfaccettature che questo termine si porta dietro. Momenti di quiete che si alternano a lunghe e violente bufere di rumore, per esempio. O la divisione del disco in tre parti, a sottolinearne la natura concettuale. O la voglia di mischiare chitarre e synth ("Clones"), riverberi industriali e rime hip-hop ("Quiet time", "Bastardised ink" e "Razed to the ground"), scherzi in stereofonia e decine di strati sonori a salire ("Collapse/Collide"). L'accessibilità abita altrove, ma un po' di impegno in ascolti ripetuti fa di questo un album da custodire e ricordare nel tempo.
8.5/10
Highlights: Tutto.
Nessun commento:
Posta un commento