6.30.2013

Major Lazer - Free the universe (2013, Because Music / Mad Decent)


Il citazionismo estremo di Major Lazer raggiunge l'apice in "Keep cool": mentre Shaggy rappa, Wynter Gordon intona una strofa dei Blink 182, un bridge di Lana Del Rey e un ritornello che probabilmente appartiene a circa un migliaio di canzoni pop. E la cosa sorprendente è che alla fine quest'accozzaglia di idee rimediate qua e là va a formare un pezzo che funziona. Tamarraggine tendente all'infinito, produzione furbetta (ma inattacabile) e voglia di fare casino; sono questi gli ingredienti che compongono il mash-up totale di Diplo e soci.

7.5/10

Highlights: You're no good, Get free, Jah no partial, Wind up, Scare me, Keep cool, Bubble butt.

6.29.2013

Editors - The weight of your love (2013, PIAS)

Lontani dal suono sintetico che aveva caratterizzato "In this light and on this evening" del 2009, gli Editors accantonano le velleità elettroniche e attivano la modalità “classica”, sfornando 11 pezzi di quelli che in teoria basta un falò e una chitarra e il gioco è fatto. Ma solo in teoria, perché le versioni in studio sono tutt’altro che minimali; Mark Flood (ancora una volta in regia) sparge arrangiamenti orchestrali ovunque - atteggiamento culmina in un brano composto unicamente da archi e voce (l’enfatica "Nothing"). L’approccio è vincente, e impreziosisce la scrittura di una band che si è ritrovata con un chitarrista in meno (Chris Urbanowickz se n’è andato amichevolmente per divergenze prettamente musicali) e dopo un periodo un po’ confuso deve ritrovare l’equilibrio. Nonostante il primo singolo sia un pezzo rock dal passo spedito, sono le ballad e i brani più trascinati a farla da padrone in "The weight of your love", in linea con l’argomento principe dell’album: l’amore. Un amore che infatua e prosciuga, che dona speranza e provoca sofferenza, che viene e che va. Naturalmente riuscire a dire qualcosa di nuovo sul tema è un’impresa; ma i testi di Tom Smith – pur prendendo in prestito dalla storia della musica intere frasi (vedi "Two hearted spider" che cita apertamente "Every breath you take" dei Police) – riescono a sorprendere svoltando quasi sempre nell’arcano, con parole che colgono alla sprovvista. Un paio d’anni fa – quando i ragazzi di Birmingham avevano cominciato le registrazioni del disco – Smith si pronunciò così: “Non so più come oggi si possa definire una hit, ma queste canzoni sono classiche e d’impatto”. Tutto vero: i pezzi che compongono il quarto disco degli Editors sono semplici e sinceri, e anche se mancano delle vere e proprie hit (nel senso pop del termine) arrivano dritti al cuore senza filtri e senza vergogna. Forse l’ispirazione non raggiunge i livelli di "The back room" e "An end has a start", ma la credibilità della band rimane intatta al 100%.

7.5/10

Highlights: The weight, A ton of love, What is this thing called love, Nothing, Two hearted spider, The phone book.

6.28.2013

Airhead - For years (2013, R&S Records)

Poetiche astrazioni elettroniche.

8/10

Highlights: Wait, Callow, Pyramid lake, Autumn, Lightmeters.

6.26.2013

Suede - Bloodsports (2013, Warner Bros.)

Brett Anderson e soci ritornano come se non fossero passati 10 anni dall'ultimo disco. Bernard Butler (il primo chitarrista dei Suede, con il quale nel 2004 formò The Tears, per scioglierli un paio d'anni più tardi) non viene interpellato; la formazione di oggi è quella di metà anni 90. "Bloodsports" è solido; parte con tre singoli di grande impatto, che il resto del disco riesce a eguagliare solo in parte. Ma è comunque un ritorno molto, molto gradito.

7.5/10

Highlights: Barriers, Snowblind, It starts and ends with you, Hit me, Sometimes I feel I'll float away.

6.22.2013

Empire Of The Sun - Ice on the dune (2013, Astralwerks)

Nonostante il successo di "Walking on a dream", l’album di debutto di Luke Steele e Nick Littlemore aveva convinto soltanto a metà. E non solo in senso figurato, ma proprio dal punto di vista strutturale: brillante la prima parte del disco, dimenticabile (se non scadente) la seconda. Le voci che davano la band per sciolta hanno fatto pensare al fenomeno dei one-hit wonder (gruppi che si ricordano solo in funzione di una canzone famosa - anche se a essere precisi in questo caso ci sarebbe pure "We are the people"), ma i due australiani dopo cinque anni di latitanza sono tornati. Fin da titolo, copertina e trailer su Vevo (in ambito pop internet gioca un ruolo fondamentale, come hanno recentemente dimostrato in modo definitivo i Daft Punk) si capisce che il concept dietro a "Ice on the dune" sia qualcosa di visionario e fantastico; c’è addirittura una storia che racconta le avventure dell’Imperatore Steele e di Lord Littlemore alle prese con il Re Delle Ombre che ha contaminato la natura e posto fine alla pace nel mondo. Ci si muove dunque sul sottile confine tra fiaba e trash, esattamente come la musica degli Empire Of The Sun flirta pericolosamente con il synth-pop d’annata e lo bilancia con richiami french-touch e una produzione solida e credibile. La partenza è col botto: il singolo "Alive" e la title track rapiscono al primo ascolto, "Awakening" è magica, mentre i suoni dell’ottima "Concert pitch" teletrasportano di peso nel lontano 1982, quando F.R. David cantava "Words" (si parlava di one-hit wonder, se non sbaglio). Più avanti convince la marcia di "Surround sound", ma ci sono anche dei passi falsi; "Old flavours" sa di riempitivo, "Celebrate" è leggermente sotto tono e il lento che chiude ("Keep a watch") appare un po’ forzato. I passi avanti sono innegabili, ma ci vorrebbe un pizzico di convinzione in più.

7/10

Highlights: Alive, Concert pitch, Awakening, I'll be around, Surround sound.

6.20.2013

Kanye West - Yeezus (2013, Def Jam)

Kanye West è genio e sregolatezza. In uno slancio dettato dal suo ego spropositato sostiene esplicitamente di essere un Dio - fregandosene totalmente della possibilità di sfociare nel blasfemo. D’altra parte “Ci sono i leader e i follower / ma preferisco essere uno stronzo che ingoiare tutto”, come afferma con convinzione in "New slaves". La sua esibizione al Saturday Night Live ha fatto il giro del web, bucando lo schermo con una traumatica interpretazione tra il composto e il farneticante; e francamente per emozionarsi non è nemmeno necessario cogliere i riferimenti anti-razzisti nel testo – sottolineati dalla citazione di "Strange fruit", pezzo che Billie Holiday cantava negli anni 40 contro il linciaggio dei neri negli Stati Uniti. La stessa "Strange fruit" ritorna attraverso il campionamento (delirante) della versione di Nina Simone in "Blood on the leaves", un esperimento sconvolgente per struttura e armonia, un’opera che poteva essere pensata solo da una mente che non accetta limiti stilistici e regole. Che poi è sempre stato il credo di West, alimentato nel tempo dal successo ottenuto. Lui si può permettere di chiedere tre o quattro basi ai Daft Punk (quelli elettronici, non quelli di R.A.M.), può decidere di vendere il suo cd senza copertina, può relegare la voce di Frank Ocean alla coda di un brano, può presentarsi da Rick Rubin a qualche giorno dalla data di release per chiedergli di rendere il tutto più minimale – ri-registrando interi brani e scrivendo testi in una manciata di ore. In risposta all’oceanico "My beautiful dark twisted fantasy" del 2010, "Yeezus" si sviluppa su 10 tracce per un totale che sfiora la quarantina di minuti totali, puntando su arrangiamenti spesso ostici dal suono industriale, cupo e cervellotico. Metabolizzarlo è un parto, ma ne vale assolutamente la pena.

8/10

Highlights: Black skinhead, I am a God, New slaves, I'm in it, Blood on the leaves, Bound 2.

6.11.2013

Paramore - Paramore (2013, Fueled By Ramen)

"Riot!" non si tocca; rimane a tutt'oggi il punto più alto raggiunto dai Paramore. Ma dopo le esitazioni espresse in "Brand new eyes", questo quarto disco ha il sapore di una nuova partenza - sia per la voglia di sperimentare soluzioni sonore inedite che a livello di pura freschezza pop.

7.5/10

Highlights: Fast in my car, Ain't it fun, Last hope, Still into you, Hate to see your heart break, (One of those) crazy girls.

6.07.2013

Riva Starr - Hand in hand (2013, Snatch)

A Stefano Miele – dj e produttore napoletano - l’Italia andava stretta, così ha deciso di trasferirsi a Londra. In teoria avrebbe potuto tranquillamente rimanere, perché la sua carriera era già ben avviata; aveva collaborato con musicisti di un certo rango (come Roy Paci) ed era sulla buona strada per dimostrare che anche nel nostro (culturalmente) arretrato belpaese si poteva osare un po’ proponendo musica che usciva dai canoni della pop-dance riuscendo comunque a fare centro (vedi "Flux"). Ma non si è accontentato, e ha preferito la mentalità più aperta del Regno Unito per esprimere appieno il suo pensiero musicale – e probabilmente ha fatto bene. Il pensiero di Stefano non prevede confini. Le sue produzioni sfoggiano eclettismo e fantasia, passando come se niente fosse da ritmi spezzati concepiti per il dancefloor (vedi i primi singoli a nome Madox) a melodie pop sognanti (vedi l’ultimo album a nome Madox), da casse dure vecchia scuola a dolci caramelle funky, da rumorosi treni elettronici a beat tranquilli e rilassati. Negli ultimi tempi si è fatto notare nei club di tutto il mondo con lo pseudonimo di Riva Starr, progetto house con l’acca maiuscola; ascoltatevi la rivisitazione di "Splendido splendente", oppure la hit "I was drunk". Nel 2011 finisce per collaborare con un guru come Fatboy Slim; ecco, oggi "Hand in hand" può a ben diritto definirsi il miglior disco che il buon Fatboy non ha mai prodotto. Questo è un album che – a differenza del precedente "If life gives you lemons, make lemonade" – mette da parte l’ottica clubby preferendo esplorare mondi incredibilmente distanti tra loro. La tradizione (come è sempre stato nelle produzioni firmate Miele) gioca un ruolo fondamentale: è il punto di partenza per brani che si evolvono nel moderno senza perdere i tratti caratteristici delle origini. In "Hand in hand" troviamo folk purissimo (superlativo il contributo di Vinicio Capossela in "Si è spento il sole"), un pizzico di tango ("No man’s land" con la voce di Carmen Consoli mette i brividi), l’immancabile swing ("Absence" è una hit, non si scappa), un po’ di rockabilly ("Am I not alone") e molto, molto altro. Troppa roba? La differenza tra un frullato buttato lì e un mosaico perfetto sta nell’avere le idee giuste e trovare una coerenza sonora a livello globale; requisiti in questo caso pienamente soddisfatti. Ogni tanto ci vuole una bella iniezione di orgoglio nazionale.

8/10

Highlights: Kill me, Absence, Si è spento il sole, Upside down, We got this thing, The care song, No man's land, Ghosts.