7.15.2019

Viva gli artisti che fanno come gli pare: Thom Yorke


Quando Paul McCartney chiede assistenza a Nigel Godrich per il suo tredicesimo disco, il produttore supera un comprensibile attacco di panico, ma alla fine accetta. D'altronde è difficile immaginare che qualcuno possa resistere alla tentazione di collaborare con un pezzo di storia della musica. Però è successo: invitato a suonare il pianoforte in un brano di Memory Almost Full, Thom Yorke declina cordialmente la proposta di McCartney. «La canzone è bellissima, ma per suonare quella parte di piano bisogna sapere gestire le mani separatamente. Io non sono capace. Mi limito a strimpellare». Non è una scusa, e non si tratta di mera umiltà. È un'osservazione che scaturisce da un'analisi realista e genuina, che non contempla approfondimenti su eventuali tornaconti personali. «Thom non era dotato come il suo amico Johnny Greenwood» ha rivelato il suo insegnante di musica del liceo «Però era un grande pensatore e adorava sperimentare».


Sono parole che descrivono bene l'attitudine di un musicista atipico, che non si è mai preso la briga di imparare a leggere spartiti, convinto che comporre attraverso un'impostazione classica rappresenti un ostacolo alla libertà di espressione. Una libertà che Thom vuole tenersi stretta, e dalla quale nascono veri e propri colpi di genio. Un esempio? Pyramid Song. Gli accordi di piano cadono in posizioni scomode, inducendo l'ascoltatore ad avvertire una certa instabilità, quasi come se il brano fosse pericolante. In realtà il singolo tratto da Amnesiac è in 4/4, una metrica assolutamente ordinaria: è il pensiero laterale di Yorke a donare profondità alla canzone, che suona ritmicamente ostica pur accomodandosi in uno schema metrico comune. Chissà se sarebbe mai arrivato a un risultato simile facendo affidamento sulle teorie, munito di carta e penna.


La filosofia di Thom prevede un buon grado di naturale improvvisazione. Come quando durante il tour di Kid A gli viene spontaneo compensare la mancanza della chitarra a tracolla tenendo occupate le braccia in un altro modo, finendo così per inaugurare i suoi iconici balletti nervosi, figli di un'indole schiettamente istintiva. Movimenti ricalcati dal recente cortometraggio firmato Paul Thomas Anderson in occasione dell'uscita del suo terzo disco solista, Anima. Un album in linea con le infatuazioni elettroniche di Yorke, che subentrano con prepotenza durante il blocco creativo successivo a Ok Computer (1997). Nel tentativo di trovare nuovi stimoli, Thom decide di andare in pellegrinaggio in Cornovaglia, camminando tra le scogliere e passando il tempo a scrivere e disegnare. La colonna sonora di questa parentesi solitaria della sua vita è composta quasi interamente dai lavori di Aphex Twin e Autechre, paladini della IDM (Intelligent Dance Music). Una musica spigolosa e robotica, dove non c'è spazio per la voce umana, ma nella quale Thom individua lo stesso potenziale emotivo delle canzoni suonate alla chitarra. Nella testa di Yorke il rock è giunto al capolinea: la brusca svolta stilistica di Kid A parte da qui.


«Da bambino credevo che la fama avrebbe colmato un vuoto, ma in realtà è successo il contrario: ero al centro dell'attenzione, e volevo essere da tutt'altra parte. La musica per me è sempre stata la via per progredire. Invece ero lì, immobile, a testimoniare la vendita del mio lavoro al miglior offerente». Ok Computer consacra i Radiohead, ma risucchia la linfa vitale di Thom. «Chiudi gli occhi, e convinciti di non essere qui. Ripeti alla nausea che tutto questo non sta succedendo» è il suggerimento dell'amico Michael Stipe, mantra che si riflette nel testo della catartica How To Disappear Completely. Più tardi, Thom riuscirà ad affrontare il suo smarrimento in maniera più lucida: “Non c'è alcuna scintilla nel buio” mormora in Analyse “Sei giù di morale, perché stai solo ricoprendo un ruolo”.


Quando i Radiohead si prendono una pausa dopo Hail To The Thief (2003), Thom ne approfitta per assecondare il bisogno impellente di dare alla luce il suo primo album solista. The Eraser (2006) è un disco politico e inquieto, lontano anni luce dal rock. Concepito come la colonna sonora dell'isolamento, sia esso reale o metaforico, l'album è composto da nove schegge sbilenche costruite su un laptop a partire da registrazioni pre-esistenti. Insieme al fido Godrich, Thom taglia e cuce, rimaneggia e stravolge. Ma a differenza delle composizioni elettroniche che le hanno ispirate, le tracce ospitano una voce priva di effetti, che dona alle composizioni un'umanità sconvolgente. Sembra quasi che Thom voglia ribadire che esiste un modo per andare d'accordo con la tecnologia, principale motore dell'opprimente velocità alla quale il mondo si sta muovendo.


Una velocità che attraverso la rete destabilizza anche il music business, che diventa uno dei bersagli preferiti di Thom. Il cervellotico Tomorrow's Modern Boxes (2014) prosegue il discorso iniziato dai Radiohead con In Rainbows (2007), presa di posizione chiara contro le major, accusate di non gestire a dovere il processo di distribuzione della musica in una nuova era. Dopo l'eclatante pay-wat-you-want, ecco l'esperimento pay-gate. Un nuovo tentativo di bypassare le etichette, definite senza mezzi termini i “custodi auto-eletti”. Scrosciano applausi e piovono critiche, perché per offrire il proprio contributo a una possibile rivoluzione è necessario rischiare.


Ma quello che fa riflettere è che Thom non è mai stato costretto a rimettersi in gioco. Dopo Ok Computer avrebbe potuto replicare la formula ad libitum insieme ai suoi Radiohead, e invece ha azzerato tutto. In Rainbows avrebbe venduto bene anche se distribuito in maniera più tradizionale, e invece è stato messo a disposizione del pubblico senza intermediari e senza prezzo. Accettare l'invito di Paul McCartney avrebbe aggiunto una collaborazione di valore al suo curriculum, ma ha preferito tirarsi indietro per rispettare i suoi ideali. Thom ha sempre messo il suo pensiero davanti a ogni possibile vantaggio. Ai tempi del liceo, un suo amico l'aveva soprannominato “Salamandra”, un appellativo che a lui non era mai andato giù. Nella simbologia del medioevo, la salamandra identificava le virtù che consentono alla persona retta di passare indenne attraverso tribolazioni e tentazioni. Il suo compagno del liceo ci aveva visto lungo.