6.11.2015

Muse - Drones (2015, Warner)

Il settimo album dei Muse è una questione di cerchi che si chiudono. Quello della trama di Drones (una vera e propria storia raccontata attraverso 12 tracce) e quello dell'approccio della band stessa, che decide di ridurre le sperimentazioni e di tornare a suonare come a inizio carriera: basso, chitarra e batteria. La concettualità del disco non può stupire più di tanto: l'inclinazione a scrivere testi impegnati c'è sempre stata. Basta scorrere i titoli degli album precedenti, o realizzare che la pagina di wikipedia a loro dedicata ospita una sezione che riassume una serie di libri che hanno influenzato i loro testi. Prendendo spunto da una tecnologia quantomai attuale (il mercato degli aeromobili a pilotaggio remoto per uso professionale – ma anche ricreativo - è in continua crescita nonostante permangano diversi buchi nella regolamentazione) i Muse descrivono uno scenario drammatico, distopico e cospirazionista; tra scienza e fantascienza, il racconto circolare di Bellamy e soci affronta la questione (di chiara ispirazione Orwelliana) del lavaggio del cervello in un concept album dai contenuti che seducono e disturbano.

La volontà di evitare eccessive sperimentazioni a livello di strumentazione si riflette in un disco vario ma dal suono compatto. Il lavoro di Robert Lange in fase di produzione è perfetto: il risultato è un album che passa dall'incedere funky di Dead Inside alle terzine distorte di Psycho, dal riff di piano di Mercy al sublime hard-rock della mutevole Reapers, e dal tapping di The Handler alla trilogia cinematica finale senza perdere la coesione sonora. Se le canzoni prese singolarmente valgono la metà è anche merito suo: per goderne appieno, Drones va ascoltato dall'inizio alla fine - non esistono grandi compromessi. Nonostante la presenza di un brano del calibro di The Globalist (che a quanto pare è lo strombazzato seguito di Citizen Erased) e il prevedibile valore della maggioranza dei pezzi che compongono la scaletta di Drones, bisogna però essere onesti: questo non è il lavoro migliore del trio britannico, soprattutto tenendo in considerazione alcuni momenti della loro carriera. D'altra parte se bissare certi dischi diventa un'impresa il merito va a chi quei dischi è stato capace di scriverli. Accontentiamoci, ricordandoci che di band così non ce ne sono poi tante.

7/10

Highlights: 
Dead inside, Psycho, Reapers, Defector, Revolt, Aftermath, The globalist.

6.01.2015

Major Lazer - Peace is the mission (2015, Mad Decent)

Reduce dalla collaborazione con quel terrorista sonoro che risponde al nome di Skrillex, Thomas Pentz torna a sirene spiegate ad occuparsi di Major Lazer - forte delle ottime posizioni raggiunte nelle chart di mezzo mondo con il singolo "Lean on" (ad oggi il brano più popolare nella storia del progetto). Gli ingredienti non sono cambiati: spirito dancehall e contaminazioni electro, linee melodiche facili e ripartenze killer, compressioni spinte e una discreta dose di tamarraggine. 
C'è chi non riesce più a digerire Major Lazer da quando Switch ha preferito defilarsi, denunciando l'eccessivo opportunismo della gang di Diplo. E' indubbio che sia definitivamente scomparso l'effetto sorpresa - che poi fu la chiave del successo (più a livello critico che commerciale) del primo "Guns don't kill people...lazers do". Ma forse il segreto sta nel considerare "Peace is the mission" per quello che è: una mezz'oretta abbondante di sfacciato meltin' pot ben prodotto e divertente.

7/10

Highlights: 
Be together, Too original, Lean on, Powerful, Night riders.