5.30.2014

Howie B - Down with the dawn (2013, HB Recordings)

Talento, intelligenza e virtuosismi: Howard Bernstein mette in mostra la sua arte elettronica a 360°. 

8/10

Highlights: Run always, Kazoo, Down with the dawn, Can I close my eyes, Authentication, Night nice.

5.29.2014

The Black Keys - Turn blue (2014, Nonesuch)

Protagonisti di un rush notevole (7 album in 10 anni) e reduci da una doppietta ("Brothers" e "El Camino") che è valsa 6 Grammy, i Black Keys si sono legittimamente presi un po’ di tempo per dare alla luce l’ottavo tassello della loro discografia. Scantinati e registratori a 8 piste sono un lontano ricordo: ora Dan Auerbach e Patrick Carney hanno raggiunto lo status di rockstar da stadio. Ma il fatto che l’annuncio della data di uscita del nuovo disco sia avvenuto attraverso un tweet di Mike Tyson (!) accompagnato da un inquietante video a metà tra David Lynch e un b-movie suggerisce che la fama non ha intaccato la fantasia e l’originalità del duo. Il cambio di registro stilistico è evidente fin dalle prime note: scompare l’urgenza blues che aveva confezionato il devastante impatto di "El Camino", lasciando spazio a composizioni più ariose e cerebrali. Pronti via, ed ecco un trip di oltre 6 minuti: "Weight of love" potrebbe tranquillamente fare parte del repertorio di una band prog-rock degli anni 70. Lo stesso discorso vale per la sontuosa title-track: basso insistente, appoggi stoppati di chitarra e un costante noise di sottofondo a disturbare la celestiale apertura vocale del ritornello. Perfino il singolo "Fever" (nonostante il riff circense di organetto che può ricordare "Lonely boy" e compagnia bella) sembra volere tenere un piede sul freno - forse per non stonare in mezzo a ballad in falsetto ("Waiting on words"), mezzi tempi soul ("In time") e le già citate escursioni psichedeliche. "10 lovers" ha il sapore di instant-classic, mentre la conclusiva "Gotta get away" picchia duro, allontanandosi leggermente dal quadro globale dell’album. Inutile girarci attorno: "Turn blue" non farà contenti tutti, specialmente chi pregustava qualcosa in linea con le sonorità espresse dal duo negli ultimi anni. Ma basta un pizzico di apertura mentale per apprezzare un disco sofisticato e profondo, che mette in risalto il valore di una band che non ha ancora finito di mettersi alla prova - e intanto compone musica che il tempo non può scalfire.

8/10

Highlights: Weight of love, In time, Turn blue, Waiting on words, 10 lovers, In our prime, Gotta get away.

5.24.2014

Kishi Bashi - Lightght (2014, Joyful Noise)

Geniale pop bucolico e super-eclettico.

8/10

Highlights: Philosophize in it! Chemicalize with it!, Carry on phenomenon, Bittersweet genesis for him and her, Q&A, Once upon a lucid dream (in Afrikaans), Hahaha pt.2.

5.17.2014

Coldplay - Ghost stories (2014, Parlophone)

Esiste un’indissolubile relazione (biunivoca e bidirezionale) tra la vita di un musicista e quello che scrive. Inutile sottolineare che l’amore – nelle note come nelle emozioni – occupa una posizione di rilievo: la storia della musica conta un numero spropositato di canzoni composte con una figura ingombrante nella testa. In questo caso la separazione tra Chris Martin e Gwyneth Paltrow ha influito pesantemente sull’andamento (lento) di Ghost Stories – un disco concettuale che in teoria analizza il riflesso delle azioni compiute in passato su presente e futuro di una relazione (un concetto un po’ alla Sliding Doors), ma che finisce inevitabilmente per virare sul personale. Nel 2005 Chris dedicò Fix You e Swallowed In The Sea alla sua bella, alle prese con l’elaborazione di un grave lutto familiare; oggi c’è un intero album che racconta il loro matrimonio andato in frantumi, con tanto di figli che appaiono in due brani (Apple in Always In My Head, Moses in O – a detta di Martin «il pezzo più bello che abbiamo mai scritto»).

Ma le tracce che compongono il sesto disco dei Coldplay non provengono dall’ispirazione del solo Chris: proprio come farebbe qualsiasi persona che deve fare i conti con la fine di una storia, lui ha cercato l’aiuto degli amici. Ha incoraggiato i membri del gruppo a portare nuove idee in studio invece di limitarsi ad arrangiare le sue melodie: è un approccio che la band non aveva mai sperimentato prima. Dato il tema preso in esame sarebbe stato da ingenui aspettarsi ritornelli allegri e rime spensierate: nonostante Martin sostenga che il messaggio finale sia «non mollare mai», l’atmosfera generale è plumbea. Perfino i primi due brani, che descrivono la fase dell’innamoramento, hanno un retrogusto malinconico. E proprio Magic rappresenta un ottimo punto di partenza per entrare nel mood dell’album. Molti degli elementi presenti nel singolo ricorrono con puntualità nei tre quarti d’ora scarsi di Ghost Stories: il ritmo compassato, il suono elettronico della batteria, l’utilizzo di pad e synth “nebbiosi”, l’assenza quasi totale di parti vocali energiche. Escludendo A Sky Full Of Stars (dove la produzione di Avicii s’indovina fin dal giro iniziale di piano che è un suo marchio di fabbrica), l’album si presenta come una vera e propria raccolta di ballad, in alcuni casi azzeccate (la conturbante Midnight, l’aurea O e l’intensa Oceans – che per intenzione e interpretazione ricorda i primi e più ruvidi Coldplay), in altri meno incisive (le vacue Another’s Arm e Ink, e la non esaltante True Love confezionata da Timbaland). Liricamente Ghost Stories è caldamente sconsigliato a chi ama trovare metafore nascoste nei testi, diretti e forse fin troppo semplici nella loro onestà. Ma fortunatamente le melodie sopperiscono a questa mancanza, uscendo vincenti nella loro immediatezza. Il livello medio delle composizioni è alto, ma è possibile che a posteriori questo disco verrà ricordato come una divagazione, slegata da un percorso artistico finora ben definito. Una divagazione nostalgica che in ogni caso fa bene al cuore.

8/10

Highlights: Always in my head, Magic, Midnight, Oceans, O.