Cinque anni orsono l'inglesissima Dido Florian Cloud de Bounevialle O'Malley Armstrong diede luce al suo secondi disco ("Life for rent"), bissando almeno parzialmente il successo dell'esordio "No angel", un album che è già storia del pop. Ascoltare il nuovo singolo "Don't believe in love" (di per se non male) lascia perplessi: è una vera sfida riuscire a dimenticare che chi canta è la stessa persona che in passato ha scritto pezzi del calibro di "Hunter" o "Here with me". Anzi, ad essere schietti è francamente impossibile non soffermarsi sulla banalità della melodia e sulla stanchezza dell'arrangiamento. Il sospetto di un'ispirazione forzata diventa reale con "Quiet times" (da dimenticare) e "Never want to say it's love" (di cui basta basta metà ritornello per indovinare come andrà a finire). Quando ogni speranza sembra affievolirsi spunta il signor Brian Eno: "Grafton Street" da il giusto spazio alla inattaccabile voce di Dido, ed ecco che finalmente si materializzano le tanto agognate emozioni d'altri tempi. Anche "It comes and it goes", "Look no further" e "The day before the day" riescono a trovare il giusto equilibrio tra minimalismo e concretezza, "Let's do the things we normally do" spicca con un che di Bacharach che è una gioia, "Northern skies" è semplice e ad effetto. Meno fondamentali risultano invece "Us 2 little gods" e "Burnin' love", ma la falsa partenza è rimediata: non un capolavoro, ma comunque a suo modo una conferma.
7.5/10
Highlights: Grafton Street, It comes and it goes, Look no further, The day before the day, Let's do the things we normally do, Northern skies.
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