Se nella musica c’è chi può e chi non può, Pharrell Williams appartiene senz’altro alla prima categoria. Intendiamoci: la posizione di rilievo che occupa (miglior produttore del primo decennio 2000 secondo Billboard) è meritata; ma quando aumentano le potenzialità, le aspettative si impennano. I privilegi di cui gode si manifestano in "G.I.R.L." con un featuring colossale (Daft Punk), partecipazioni più scontate ma non per questo meno altisonanti (Timbaland, Timberlake e Alicia Keys), e ospitate furbette (Miley Cyrus e Kelly Osbourne). Ah, agli archi ci pensa Hans Zimmer.
Sebbene ci sia stata una palpabile evoluzione stilistica (ben sottolineata dalle recenti hit che l’hanno visto protagonista), il rapporto di Pharrell con il funk è sempre stato solidissimo, perfino quando il suo personaggio veniva associato più facilmente alla sfera hip-hop. Oggi il rap è stato sostituito da linee melodiche cantate preferibilmente in falsetto: "Marylin Monroe", "Hunter", "Gust of wind" e "Brand New" (con Justin, un altro che di falsetti se ne intende) convincono per l’intelligente traslazione di regole appartenenti a un’altra epoca storica in un ambito sonoro tutto sommato moderno. Nonostante le chitarre funky non vengano mai meno, numeri come "Gush", "Come get it bae" e "It girl" ricordano il Pharrell di qualche tempo fa, mentre "Lost queen" profuma di "Drop it like it's hot". Il pezzo insieme ad Alicia Keys merita, ma è clamorosamente fuori contesto; quanto al successo di "Happy", era quotato ai minimi storici fin dalla prima apparizione del video sui social network. Bravura (e scaltrezza) non si discutono; ma dov’è finito il Pharrell che osa e illumina?
7.5/10
Highlights: Marylin Monroe, Brand new, Gush, Gust of wind, Lost queen, Know who you are.
Il suo album di esordio "Shine through" compare in iTunes nella categoria hip hop/rap. Il successivo "Good things" è invece catalogato nel reparto r’n’b/soul. Ora con "Lift your spirit" Aloe Blacc entra nel calderone ben più vasto (e per certi versi meno definito) del pop. E come potrebbe essere altrimenti? Quando ti ritrovi in cima alle classifiche di tutto il mondo con una hit come "Wake me up" (mixata in versione dance da Avicii), il pubblico di etichettature a priori se ne infischia e c’è ben poco che tu possa fare: il dorato mondo del pop è lì ad attenderti, con opportunità e pericoli del caso.
Il musicista statunitense in una decina d’anni ha esplorato diverse sfaccettature della black music: il suono del primo disco è decisamente sperimentale, quello dell’album di mezzo si crogiola in vibrazioni classiche, mentre "Lift your spirit" è un’opera bastarda di ispirazione soul (con accenni di gospel e country), ma arrangiata come vogliono le chart. Tale approccio è però anche il principale problema. La personalità del pur bravo Blacc viene offuscata dalla produzione troppo artificiosa: la conseguenza è che l’impatto emotivo fa fatica a reggere il confronto con il gusto retrò di "Good things".
Alcuni brani poi rasentano livelli di banalità imbarazzanti ("Wanna be with you" su tutti), mentre altri faticano a colpire nel segno come dovrebbero (l’omaggio a Elton John in "The man" è sprecato e il lavoro di Pharrell Williams in "Love is the answer" delude). Molto meglio la sincerità di "Here today" o "Eyes of a child", la sensualità di "Red velvet seat" o la spensieratezza della già citata "Wake me up", che in versione acustica guadagna parecchi punti (non ce ne voglia Avicii).
6.5/10
Highlights: Wake me up, Soldier in the city, Here today,Red velvet seat, Eyes of a child.
L'approccio dei neozelandesi Shapeshifter rimane uno dei più eclettici che la moderna scena elettronica abbia a memoria; il quinto studio album ripropone con successo (e grande ispirazione) la formula segreta che si avvale di ingredienti apparentemente distanti come "Musica Elettronica", "Soul" e "Feeling live" .
8/10
Highlights: Monarch, Gravity, Taste of memory, Giving up the ghost, Stadia, Shadow boxer.
Il debutto della giovanissima Lorde rappresenta la vittoria del pop elegante, che bilancia alla perfezione melodie incisive con arrangiamenti freschi e intelligenti.
Come specificato dagli stessi Eric Hilton e Rob Garza, "Saudade" è un inno alla bossa nova: nessun segno di dub, assenza totale di beat pronunciati e voci languide obbligatoriamente femminili.
6.5/10
Highlights: Firelight, Sola in città, No more disguise, Claridad, Depth of my soul.
Il primo album di Marco Niemerski si assesta prevalentemente - e prevedibilmente - su contaminazioni disco. In apertura "Love sublime" (con Nile Rodgers alla chitarra e Fiora al microfono) sfiora subito il capolavoro, e il trio concede un ottimo bis con "Good enough to keep"; il contributo di Stuart Price e Jamie Lidell sfocia invece in una meno incisiva "Feel of love", e anche "Selfish" insieme a Jeremy Glenn non convince completamente. Seguono altre vie "No colour" e "Holla" (compressioni più spinte e ispirazioni dubstep), mentre "See right through" e "No relief" si buttano decise sulla deep-house con buoni risultati. 7/10 Highlights: Love sublime, No colour, Good enough to keep, See right through, 58 bpm.
Nel quarto disco di Jared Leto e soci la musica sostanzialmente non cambia: l'immaginario rimane di stampo fantasy, il pattern che prevede la contrapposizione sussuri-urla è prevedibilmente rispettato e l'epicità regna sovrana. Purtroppo in "Love lust faith + dreams" i cori da arena sono in eccesso; sembra quasi che siano stati messi lì per mascherare alla bell'e meglio il calo di forza melodica dei nuovi pezzi.
5.5/10
Highlights: Up in the air, City of angels, Northern lights.
Il secondo lavoro in studio di Sascha Ring (Apparat) e Gernot Bronser (Modeselektor) è molto semplicemente una delle cose più belle accadute alla musica elettronica nel 2013. Riflessivo e avvolgente, raccoglie recenti intuizioni dubstep, bass e post-garage e le implementa ad arte in un illuminante affresco evocativo e malinconico, arrivando perfino a lambire i confini del pop futuristico.
9/10
Highlights: Bad kingdom, Let in the light, Milk, Therapy, Gita, Damage done.