9.13.2013

Goldfrapp - Tales of us (2013, Mute)

La matematica e un certo senso dell’equilibrio impongono che il sesto disco dei Goldfrapp sia composto da pezzi lenti e rilassati. Laddove "Supernature", "Black cherry" e "Head first" avevano a che fare con flashback disco e synth-pop, "Seventh tree" e l’esordio "Felt mountain" erano roba da tramonti balearici; ecco quindi che Tales Of Us va a rinverdire lo spirito più soft del duo, e c’è da scommettere che i sostenitori del lato più pop dei Goldfrapp rimarranno molto delusi quando scopriranno che qui le tracce dedicate alla batteria sono state in pratica depennate dal mixer. Una ventina abbondante di minuti scorre soffice tra i sospiri di "Annabel" e il folk deviato di "Jo", la vena teatrale di "Drew" e gli archi in rilievo di "Ulla". Dopo "Alvar" (un delicato valzer al rallentatore scandito da colpi di piano e violoncello) arriva il brano che spezza l’incantesimo: "Thea" mette da parte la dimensione acustica e si tuffa in un’elettronica sporca e volutamente scura, mantenendo comunque un profilo raffinato, e di conseguenza il filo logico con il contesto del disco. Nelle quattro tracce rimanenti sono ancora chitarre, pianoforti e violini a farla da padrone, e in "Stranger" assistiamo addirittura al ritorno del fischiettio – quello che nel 2000 aprì le porte del successo al duo attraverso l’immortale "Lovely head". Ed è proprio qui che interviene la fatidica domanda, quella che ogni gruppo che ha partorito un capolavoro deve affrontare – specialmente se il suddetto capolavoro viene citato in maniera esplicita: le nuove canzoni sono all’altezza di quelle scritte in passato? Forse melodicamente no: certe soluzioni si riveleranno di facile previsione per l’ascoltatore scafato. Ma emotivamente parlando non si possono muovere grandi appunti: Will Gregory e Alison Goldfrapp appaiono molto più sinceri così rispetto a quando cazzeggiano spensierati con ritmi veloci e casse in quattro.

8/10

Highlights: Jo, Annabel, Drew, Alvar, Thea, Stranger.

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