Kanye West è genio e sregolatezza. In uno slancio dettato dal suo ego spropositato sostiene esplicitamente di essere un Dio - fregandosene totalmente della possibilità di sfociare nel blasfemo. D’altra parte “Ci sono i leader e i follower / ma preferisco essere uno stronzo che ingoiare tutto”, come afferma con convinzione in "New slaves". La sua esibizione al Saturday Night Live ha fatto il giro del web, bucando lo schermo con una traumatica interpretazione tra il composto e il farneticante; e francamente per emozionarsi non è nemmeno necessario cogliere i riferimenti anti-razzisti nel testo – sottolineati dalla citazione di "Strange fruit", pezzo che Billie Holiday cantava negli anni 40 contro il linciaggio dei neri negli Stati Uniti. La stessa "Strange fruit" ritorna attraverso il campionamento (delirante) della versione di Nina Simone in "Blood on the leaves", un esperimento sconvolgente per struttura e armonia, un’opera che poteva essere pensata solo da una mente che non accetta limiti stilistici e regole. Che poi è sempre stato il credo di West, alimentato nel tempo dal successo ottenuto. Lui si può permettere di chiedere tre o quattro basi ai Daft Punk (quelli elettronici, non quelli di R.A.M.), può decidere di vendere il suo cd senza copertina, può relegare la voce di Frank Ocean alla coda di un brano, può presentarsi da Rick Rubin a qualche giorno dalla data di release per chiedergli di rendere il tutto più minimale – ri-registrando interi brani e scrivendo testi in una manciata di ore. In risposta all’oceanico "My beautiful dark twisted fantasy" del 2010, "Yeezus" si sviluppa su 10 tracce per un totale che sfiora la quarantina di minuti totali, puntando su arrangiamenti spesso ostici dal suono industriale, cupo e cervellotico. Metabolizzarlo è un parto, ma ne vale assolutamente la pena.
8/10
Highlights: Black skinhead, I am a God, New slaves, I'm in it, Blood on the leaves, Bound 2.
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