C'è chi di loro si è innamorato subito, quando con l'esordio "Who can you trust?" (1996) si allineavano con stile alla ribollente scena trip-hop. C'è chi invece ha imparato a conoscerli con il successivo "Big calm"(1998), sempre downtempo ma molto più digeribile, anche e soprattutto per una questione di tempi che cambiano. E poi ci sono tutti gli altri. Tutte le persone bombardate da quella "Rome wasn't built in a day" estratta dal terzo disco ("Fragments of freedom", 1999) e suonata ovunque, quintessenza della direzione pop intrapresa dalla band e facile bersaglio dalla critica che li aveva fino ad allora elogiati. Che il successo non sia facile da gestire è risaputo, e l'involuzione di "Charango" (2002, senza la voce di Skye che va per la sua strada) è frutto della loro giustificata confusione. "The antidote"(2005) paga ancora le conseguenze della suddetta svolta pop, a posteriori sicuramente vista in negativo (=tradimento delle proprie radici) piuttosto che in positivo (= evoluzione). Appare quindi abbastanza scontata la fine che farà "Dive deep": i beat ruvidi di "Thumbnails" e "One love karma" entreranno di prepotenza nella cartella " promesse mantenute fuori tempo massimo", mentre le aperture world/folk di "Au-delà" e "Run honey run" per quanto buone saranno invece troppo poco per la radio, e verrano quindi dimenticate in fretta insieme all'impalpabile "Washed away", all'inconcludente "Sleep on it" e alla prevedibile "Gained the world". L'ottimo singolo "Enjoy the ride", l'agrodolce "Riverbed" e la nostalgica "Blue chair" salvano l'ennesimo disco senza infamia e senza lode di questa band che da troppo tempo ha assunto le sembianze di un punto di domanda.
6/10
Highlights: Enjoy the ride, Riverbed, Au-delà, Blue chair.
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