4.08.2019

Billie Eilish - When we all fall asleep, where do we go? (2019, Interscope)

Provo a ricordare l'ultima volta che mi è capitato di attendere con trepidazione il primo album di una predestinata del pop, e sembra che sia passata un'eternità. Non mi stupisce, considerando che misuro la curiosità attraverso il parametro dell'audacia e cerco in tutti i modi di non lasciarmi condizionare dal pur fondamentale lavoro di immagine sul personaggio. Ho la sensazione che di generiche popstar promettenti ne spuntino fin troppe, ma quelle che si presentano con sonorità e intenti almeno in parte spiazzanti si contino sulle dita di una mano. Riavvolgendo il nastro di circa 6 anni, mi viene in mente Lorde. Una ragazzina che dopo avere firmato con una major all'età di 13 anni sforna il primo album appena sedicenne, imponendosi con una spregiudicatezza non comune e riuscendo a mantenere il delicato equilibrio tra personalità e consenso del pubblico anche con il secondo lavoro del 2017.

Per tanti motivi, credo che Billie Eilish abbia tutte le carte in regola per aspirare a una carriera simile. Stile e disinvoltura ci sono. L'appeal pop pure, e la formula non è concettualmente distante da quella della Neozelandese: il mix di melodie vincenti e contaminazioni sonore eterogenee culmina in composizioni fresche e insolite, ma assolutamente digeribili anche da chi non si definisce un intenditore di musica a 360°. I più attenti hanno fiutato qualcosa fin dall'e.p. Don't Smile at Me del 2017, anno in cui i responsabili della colonna sonora di Thirteen Reasons Why non hanno esitato a inserire un suo brano (Bored) al fianco di pezzi monumentali di Cure e Joy Division. Una scelta tutt'altro che casuale: l'immaginario dipinto da Billie è volutamente cupo e sconfina spesso nell'horror, iconografia metaforicamente perfetta per raccontare i turbamenti della cosiddetta generazione Z.

Sul finire dell'anno scorso sono rimasto impressionato dall'enfatica When The Party's Over, collegandola immediatamente a Hide & Seek di Imogen Heap, un successo decisamente “alternativo” di quindici anni fa. Qualche mese più tardi a stregarmi definitivamente ci ha pensato Bury a Friend, stomp energico ma elegante, dove smaccati silenzi enfatizzano una frase scarna e diretta come “I wanna end me”. Mi è sembrata una ninna nanna vietata ai minori cantata da una minorenne, una cantilena maledetta. Forse il termine adatto per descrivere la canzone è straniante: ti ritrovi a battere il piedino al ritmo di un oggetto misterioso e a canticchiare una melodia angosciante e al contempo spaventosamente orecchiabile. Inutile girarci intorno: se mi aspetto tanto da When we all fall asleep, where do we go? il merito è soprattutto di queste due gemme. In entrambi i casi appare evidente che in fase di arrangiamento la prerogativa di Finneas O'Connell (fratello di Billie responsabile della produzione dei brani) sia attenersi alla regola del “Less is more”, espressione resa celebre a inizio 900 dall'architetto Tedesco Ludwig Mies van der Rohe. Non è certo la prima volta che la legge del minimalismo viene traslata in ambito musicale, ma in un momento storico in cui la tecnologia consente di farcire le composizioni a piacere, il gesto di puntare su pochi elementi ben definiti invece di riempire indiscriminatamente l'intero spettro delle frequenze potrebbe essere interpretato come una piccola rivoluzione. E comunque la strategia, ragionata o meno, funziona solo se te lo puoi permettere. Ci vogliono idee, tecnica e talento nello scegliere i timbri giusti. In una parola, ci vuole gusto.

Da parte sua, la diciassettenne Losangelina osserva il mondo che la circonda con partecipazione, filtrando anche le più comuni emozioni adolescenziali attraverso un linguaggio personale e conturbante, in linea con l'eccentrico paesaggio sonoro che ospita la sua voce. Così l'umiliazione di un rifiuto viene smaltita attraverso il sarcasmo di Wish You Were Gay, mentre la mancanza di comunicazione con il partner diventa spunto per la già citata When The Party's Over, confessione ovattata che sfocia in un turbinio di cori e armonie lussureggianti. Quando è necessario, Billie non ha nessuna paura di cantare fuori dal coro: “Sono la loro sigaretta di riserva / E io continuo a bere coca-cola / Non mi serve uno Xanax per stare meglio”, sospira con una voce pesantemente distorta sopra la scheletrica Xanny, pezzo che si schiera contro l'abuso di medicinali per scopo ricreativo. Per atmosfere e cadenza ritmica, Bad Guy e Ilomilo sembrano figlie adottive (e leggermente più sbarazzine) di Bury a Friend. Il confronto non regge, ma rimangono tracce efficaci e coinvolgenti. Spostandoci invece su battute più lente, i brani degni di menzione si moltiplicano. Xanny è uno dei momenti più alti del disco, così come convincono la sofferta Listen Before I Go, la sognante I Love You e la seducente You Should See Me in a Crown (scritta su ispirazione deòla serie Tv Sherlock). Altri numeri sono più insipidi, ma rimane intatta la convinzione di essere al cospetto di una ragazza, peraltro giovanissima, che potrebbe davvero prendersi presto la corona di regina. In tal caso sarebbe una vittoria genuina e spontanea. Una conquista personale, ma non solo: in un terreno minato, dove sacrificare la propria indole all'altare del successo è sconfortante pratica comune, l'incoronazione di una come Billie sarebbe un evento da ricordare.

8/10

Highlights: 
Xanny, You should see me in a crown, Wish you were gay, When the party's over, Bury a friend, Listen before I go.

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