11.02.2018

The Prodigy - No tourists (2018, Take Me To The Hospital)

Ancora prima di premere play per iniziare l'ascolto di No Tourist, ho il presentimento che farò una fatica tremenda a non smarrirmi tra i ricordi. So bene che rievocare i fasti del passato non aiuta a valutare un disco nuovo in maniera lucida e oggettiva, ma non ci posso fare niente: il contributo fornito dai Prodigy alla musica elettronica (anzi, alla cultura elettronica) è così rilevante da impedirmi di scindere la band dagli anni 90, il periodo storico a cui viene generalmente associata. Ogni volta che mi imbatto nella loro ragione sociale, le copertine di Music for the Jilted Generation e The Fat of the Land si materializzano automaticamente nella mia testa, e qualsiasi sforzo di scacciarle risulta vano.
Sia benedetto il giorno in cui il trio composto da Liam Howlett, Keith Flint e Maxim Reality si è preso il carico di rappresentare la generazione abbandonata confezionando un vero e proprio manifesto che racchiudeva in 13 tracce l'essenza della scena rave. E che nessuno si azzardi a toccare l'album del 1997, uno dei crossover più potenti e riusciti della storia della musica, capace di sgomitare in classifica al fianco di boy band e icone pop con irruenza epica. Un'operazione che, purtroppo o per fortuna, non è più immaginabile nell'ecosistema musicale odierno, che normalizza qualsiasi tentativo di trasgressione attraverso una manciata di click.

È tutta colpa dell'ingombrante passato dei Prodigy se continuo ad esitare. Non nascondo che ho molta paura di rimanere deluso da questo album, perché in fondo continuo a sperare in qualcosa che al giorno d'oggi pare un'utopia: un suono nuovo. Un suono in grado di scioccarmi, di tirarmi un pugno in faccia e di lasciarmi al tappeto, esattamente come era capitato con The Fat of the Land. E invece, come previsto, la sessione di ascolto parte con il singolo Need Some1, che avevo già archiviato quest'estate nella cartella “Standard Prodigy”. Il che non significa che sia brutto, anzi: ben vengano synth maleducati, batterie grasse e stop & go tanto prevedibili quanto impeccabili nella costruzione. Esattamente come non disdegno il secondo singolo Light Up the Sky, che contiene almeno due auto citazioni: il riff principale riprende alcune note di Voodoo People, mentre il minuscolo break di chitarra richiama l'inconfondibile suono di Breathe. Rimango più freddo su We Live Forever, che alza il ritmo e fa affidamento su un hook elementare ma non certo memorabile, mentre la progressione discendente della title-track che saccheggia la coda di Closer di Nine Inch Nails incontra la mia totale approvazione. Apprezzo pure la violenza di Fight Fire With Fire, insieme al duo rap Ho99o9, ma dal mio punto di vista il confronto con Diesel Power (con Kool Keith) o con l'immortale Poison non regge.

Il copione non cambia con l'avanzare delle tracce. Mi ritrovo dunque a scuotere il capo al ritmo di Champions of London e Boom Boom Tap, ammettendo implicitamente che l'adrenalina qui non manca di certo. Ma nel frattempo il mio cervello continua a farsi i fatti suoi, trovando sempre e comunque riferimenti ai gloriosi tempi che furono. A quando assistevo con un ghigno a una mielosa cover di How Deep is Your Love firmata Take That che veniva spodestata in classifica dalla facinorosa Firestarter. All'impagabile soddisfazione di potere inserire Smack My Bitch Up all'interno di un dj set assolutamente commerciale in qualche locale fighetto di Milano. A quella supposta rivoluzione che, com'era intuibile anche se mi rifiutavo di uccidere il sogno sul nascere, non si è mai realmente compiuta. Perché per quanto i Prodigy facessero la musica giusta al momento giusto, i suoni erano comunque troppo audaci per durare in eterno. D'altronde la musica, come tutte le arti, deve fare i conti con i proverbiali cicli.

Nonostante i legittimi accorgimenti sonori per stare al passo con i tempi, quando senti una traccia del trio britannico la riconosci fin dalla prima flebile frequenza che raggiunge le tue orecchie. E No Tourist è un album decisamente più ficcante del precedente The Day is My Enemy, che a mio parere aveva esagerato con l'allineamento sonoro, rinunciando a una buona fetta d'identità. Un fattore necessario nel melting pot musicale odierno, ma purtroppo non sempre sufficiente per farsi notare. Se però una nuova rivoluzione ad oggi pare una chimera, tanto vale metterci la passione di un tempo e plasmare un suono riconoscibile e personale. E su questo non sono ammesse obiezioni: i Prodigy nel 2018 continuano a fare la musica “giusta”, la loro musica, quella che sanno fare meglio di tutti. Il problema, ammesso che si possa definirlo tale, è il contesto storico. Qualcuno sostiene che siano finiti da un pezzo, qualcun altro è convinto che siano ritornati in forma. Loro se ne fregano e vanno dritti per la loro strada, sbraitando e seminando caos. Io, seppur rimpiangendo i pugni in faccia che negli anni 90 hanno sconvolto in positivo il mio approccio alla musica, sto comunque con loro.

7.5/10

Highlights: 
Need some1, Light up the sky, No tourists, Timebomb zone, Champions of London, Boom boom tap.

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