Semplice e incantevole.
7.5/10
Highlights: Poppy, Honey bee, Is this the end, First of the gang to die, Let me in.
Un fenomenale Mike Patton rilegge una manciata di brani che hanno fatto la storia della musica italiana rispettandone la natura e amplificandone l'impatto espressivo come lui sa fare bene.
Phra e Bot (insieme a tonnellate di super-amici) alla prima vera prova album rimangono fedeli all'approccio ultra-eclettico che li ha sempre caratterizzati - fin da molto prima del botto di "Day 'n' nite". Accanto a ritmiche divertenti e "dritte" come quelle che accompagnano Pitbull in "Natural born hustler" o Roisin Murphy in "Royal T" non devono quindi sorprendere il dubstep rumoroso di "No security", l'hip-hop ubriaco di "Let's get beazy" (con Will.I.Am), il reggaeton di "Jump up" o il lento e storto beat di "Lone white wolf". Completi e maturissimi per il grande salto che hanno compiuto da un pezzo.
Detto in due parole questo è un classico Greatest Hits con un paio di singoli nuovi e un cd bonus (contenente rarità) a rimorchio. Volendo invece essere più profondi (e credetemi, in questo caso vale la pena esserlo) si tratta di una raccolta imprescindibile per i fan e sconvolgente per chi non abbia mai approfondito l'argomento Incubus - una delle band che meglio riesce a miscelare tecnica sopraffina, scrittura di alto livello e cultura pop-rock. Come direbbero loro: Enjoy Incubus.
Fa strano pensare che Phil Kieran abbia impiegato più di dieci anni a realizzare un album. Decine di 12 pollici stampati su etichette come Kingsize, Tronic e Soma - e si parla di bombe ad hoc per i dancefloor più intelligenti; poi l'approdo alla Cocoon, dove da qualche anno è di casa. Archiviata l'apertura electro "Cut copy waste" e una bastardata dub tipo "Playing with shadows", le cose cominciano a farsi serie con "Blood of Barcelona" e "World on tv": percussiva e tagliente la prima, solida e rotonda la seconda. Tra "Dirt" e "R.e.s.p." (la formula è molto simile) vince quest'ultima, ma "Don't look far away" è su altri livelli di classe con i suoi synth angelici appoggiati su una base che rimbalza felice. Interessanti anche i giochi di pitch di "Bend it bend it my dear" e gli spunti acid di "Never ending mountain".
Compri il nuovo cd di Giuliano Palma (il quinto con i Bluebeaters per la precisione) e sai già che cosa aspettarti. Cose tipo "Per una lira" (a firma Battisti-Mogol) o "Sunny" di Bobby Hebb ('66 circa). Il recupero di un pezzo come "She's not there" degli Zombies, o "Il cuore è uno zingaro" (brano interpretato da Nada e Nicola Di Bari a Sanremo nel 1971). "L'appuntamento", traduzione Lauziana per la Vanoni dell'originale "Sentado a beira do camihno". E ancora, Stray Cats ("Lonely summer nights"), John Barry ("From Russia with love"), Stevie Wonder ("Yester-me, yester-you, yesterday"), The Clovers ("Love potion #9), Buzzcocks ("I don't mind"), John Morris ("A Transylvanian lullaby"). Gli inediti? Sono 4, e non sfigurano affatto in mezzo all'appena citato ben di dio di cover. Compri un cd di Giuliano Palma e arriva puntuale quel raggio di sole ad illuminare la stanza dopo il temporale.
La maestria di Damon Albarn nel combinare spunti dance e anima rock si materializza nuovamente a cinque anni da "Demon days"; e con un'immaginazione sempre più fervida, dato che il titolo dell'album rappresenta un'isola di plastica dove la nota cartoon-band si sarebbe rifugiata per cercare l'ispirazione. L'attitudine hip-hop del progetto è subito ribadita da Snoop Dogg, che esordisce ribaltando la famosa frase di Gil Scott-Heron del 1971 asserendo che la rivoluzione verrà trasmessa in televisione. Il già suonatissimo singolo "Stylo" (con una line vocale in cui Albarn volontariamente o meno cita Erlend Oye) mischia electro e soul con assurda facilità: formula che funziona perfettamente anche con le tracce di malinconia di "Empire ants". Dopo i suoni da rave di "Glitter freeze" è il turno del cameo di Lou Reed, che più che cantare rappa in una spensierata "Some kind of nature". Il fumo di Londra misto old-school della perfetta "Broken", il ritmo lento e le soluzioni melodiche fuori dagli schemi della singolare title-track (insieme a Paul Simonon), lo splendido folk-dub di "To binge" e il mistero che emana "Cloud of unknowing" (con uno straordinario Bobby Womack) non fanno altro che alimentare la convinzione che la parola "genio" quando si parla dei Gorillaz non è mai sprecata.