La maestria di Damon Albarn nel combinare spunti dance e anima rock si materializza nuovamente a cinque anni da "Demon days"; e con un'immaginazione sempre più fervida, dato che il titolo dell'album rappresenta un'isola di plastica dove la nota cartoon-band si sarebbe rifugiata per cercare l'ispirazione. L'attitudine hip-hop del progetto è subito ribadita da Snoop Dogg, che esordisce ribaltando la famosa frase di Gil Scott-Heron del 1971 asserendo che la rivoluzione verrà trasmessa in televisione. Il già suonatissimo singolo "Stylo" (con una line vocale in cui Albarn volontariamente o meno cita Erlend Oye) mischia electro e soul con assurda facilità: formula che funziona perfettamente anche con le tracce di malinconia di "Empire ants". Dopo i suoni da rave di "Glitter freeze" è il turno del cameo di Lou Reed, che più che cantare rappa in una spensierata "Some kind of nature". Il fumo di Londra misto old-school della perfetta "Broken", il ritmo lento e le soluzioni melodiche fuori dagli schemi della singolare title-track (insieme a Paul Simonon), lo splendido folk-dub di "To binge" e il mistero che emana "Cloud of unknowing" (con uno straordinario Bobby Womack) non fanno altro che alimentare la convinzione che la parola "genio" quando si parla dei Gorillaz non è mai sprecata.
8/10
Highlights: Rhinestone eyes, Stylo, Empire ants, Some kind of nature, On melancholy hill, Broken, To binge, Cloud of unknowing.
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