5.09.2018

Arctic Monkeys - Tranquility Base Hotel + Casino (2018, Domino)

Come si diceva un tempo, riavvolgo il nastro per l'ennesima volta. Credo che sia la nona o la decima, ma ho perso il conto. Per quanto mi capiti spesso di lasciare dischi a rosolare fino al raggiungimento della cottura ottimale, il fatto che l'episodio si stia verificando con un album di Alex Turner mi impone di non archiviare la vicenda con sufficienza; onestamente, mi sono sempre bastati un paio di ascolti per inquadrare i suoi lavori. Ma in questo caso no. Cliccando sui file che compongono Tranquility Base Hotel + Casino (titolo incredibilmente farraginoso, soprattutto se messo in relazione con il precedente cristallino e ultra stringato "AM") mi sono sentito come se l'amico del calcetto mi avesse dato appuntamento al campo alla solita ora, per poi scoprire che oggi si gioca a baseball. L'inevitabile domanda che compare a grandi lettere nella mia testa è: “Cosa diavolo succede qui?”

Perso in un mondo che non riconosco cerco di ritrovare l'orientamento, anche se la mia bussola non sembra funzionare; l'ago impazzisce, oscillando nervoso in mezzo a mille punti cardinali che per l'occasione hanno cambiato nome. Punta su John Lennon, poi si rivolge verso scenari fantascientifici. Segna qualche oscuro musical, poi la destinazione diventano i crooner d'altri tempi. Non avendo la più pallida idea di dove dirigermi, decido di guardarmi intorno e cercare qualche chiaro riferimento visivo – ma il senso di smarrimento aumenta. Laggiù, nell'ampio spazio solitamente riservato alle chitarre, ci sono dei crateri enormi. E non riesco nemmeno a individuare le energiche cascate a cui ero abituato; i pezzi sono diventati laghi piatti e placidi, tutti tra il lento e il moderato. L'incipit di Star treatment – dove il frontman degli Arctic Monkeys fa l'autostop in un posto dimenticato da dio e lontano da qualsiasi autostrada immaginaria – sembra descrivere a pennello la mia situazione. Qui non c'è la benché minima traccia degli Strokes, fonte d'ispirazione principale di un Turner che li cita e poi punta immediatamente il dito sul sistema accusandolo di essere il principale responsabile di questo “casino” - parola magica che sintetizza lo stato del mio cervello, costretto a risolvere un imprevisto labirinto armonico e lirico. Se un semplice cambio di direzione può spiazzare, immaginatevi cosa può accadere quando a mutare è lo strumento chiave della scrittura: stregato da uno Steinway regalatogli da un amico per i suoi trent'anni, Alex sposta il centro gravitazionale delle sue composizioni sul pianoforte. E per dare il colpo di grazia al povero e indifeso ascoltatore si esprime con flussi di coscienza degni di Joyce inventando storie assurde tra Blade Runner e Bukowski (non a caso espressamente menzionati).

Dopo X tentativi (dove X è un numero finito tra 10 e 100 che dipende dalla capacità di adattamento e dalla volontà di risolvere l'enigma dell'ascoltatore) certi pezzi diventano finalmente accessibili. Riesco a canticchiare il ritornello di American sports (innamorandomi del “Uh” in falsetto prima dell'ultimo ritornello), mi unisco baldanzoso ai cori di Four out of five e anche le brillanti Batphone e The world's first ever monster truck front flip (praticamente uno scioglilingua) diventano familiari. Il fatto che pezzi come la title track e Science fiction rimangano in qualche modo avvolti nella nebbia mi fa capire che dovrò ancora fare affidamento sulla funzione repeat per sviscerare l'album a dovere. Ma a dire il vero, sono anche tentato di lasciare tutto così com'è. Perché in fondo l'impressione è che Turner voglia a tutti costi trasportarmi nello stato di allucinazione in cui si trova mentre canta, fregandosene di risultare interamente comprensibile. Il suono delle parole pare di gran lunga più importante del significato delle frasi che compone, esattamente come le singolari progressioni armoniche e i fragilissimi ritornelli rappresentano un invito a saltare a bordo senza pretendere nessuna garanzia. Alex mi sta chiedendo di gettare via la bussola; di lasciare perdere considerazioni su crateri, cascate e laghi e di godermi semplicemente il panorama di un mondo nuovo. Qualcuno preferirà declinare gentilmente, rifugiandosi al sicuro nel solido passato; io invece mi fido di lui, e accolgo la proposta con entusiasmo. Nel farlo, comprendo l'inutilità della domanda che è uscita dalle mie labbra poco fa: quello che sta succedendo ora lo posso sentire, e mi voglio prendere tutto il tempo che serve per gustarmi ogni singola nota. La domanda intrigante, quella che davvero stuzzica la mia fantasia e in un futuro spero non troppo lontano confermerà la bontà della mia decisione è: “Cosa succederà domani?”

7.5/10

Highlights: 
Star treatment, American sports, Golden trunks, Four out of five, The world's first ever monster truck front flip, Batphone.

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