Ho preferito annullare tutti gli impegni e passare il pomeriggio a riascoltare una buona parte della sua discografia, lasciandomi cullare da quelle successioni di note familiari, recitando sottovoce le parole che so a memoria, perdendomi in tutte le perfette imperfezioni che l'hanno reso artista unico, inimitabile.
Martedì, invece, è stato il giorno delle domande. Sapete, quelle che cominciano con "What if...?". Come spesso accade quando si perde improvvisamente una persona cara, il cervello si ribella. Per quanto chiaro possa essere il messaggio (e personalmente in questo caso si è trattato proprio di un sms inviatomi da un amico), la prima sillaba che ti esce dalla bocca è “No”. E' naturale: apprendi la notizia, ma occorre tempo per metabolizzarla e accettarla. Quei momenti sono pura confusione mentale. Cominci a (s)ragionare considerando anche piste altamente improbabili (è uno scherzo?), architettando film di fantascienza ("Can you hear me, Major Tom?") e scivolando senza vergogna nel ridicolo in un ultimo tentativo di aggrapparti a speranze vane. Se poi decidi di lasciare le briglie, è un attimo sconfinare nella fantasia.
E' quello che mi è successo ieri notte, rigirandomi tra le coperte. Nonostante cerchi di ripudiarla a tutti i costi, c'è una domanda che oggi - Mercoledì - non smette di martellami in testa. Si tratta di una domanda che comincia con " What if", ed è tanto semplice quanto assurda.
E se non fosse successo davvero?
Siete assolutamente autorizzati a pensare che sia pazzo, non mi offendo. Ma vi chiedo una cortesia: non pensate che stia scrivendo queste parole dietro compenso o per qualche subdolo tornaconto personale. David Bowie ha significato, significa e continuerà a significare troppo per me, e voglio chiudere gli occhi un istante e abbandonarmi a questa fantasia.
Dicevo (anzi, vaneggiavo): e se non fosse successo davvero? Sarà forse difficile da credere, ma oltre a considerare questa ipotesi ho anche provato a cercare degli argomenti che mi aiutassero a crederci veramente. E a questo punto starete pensando: questo non solo è pazzo, ma ci vuole dimostrare anche perché lo è. Più o meno.
Sono partito da cose scontate, come il fatto che sia la malattia che la morte di Bowie sono tutt'ora parzialmente avvolte nel mistero. Nessuno sapeva che fosse malato, non si hanno certezze assolute sul suo male (il fegato, dice Ivo Van Hove, regista dell'opera teatrale Lazarus) e a quanto pare inizialmente non si sapeva neanche dove fosse avvenuto il decesso (ora si dice New York). Sono tutti particolari che competono la sfera privata, quindi - per quanto strano possa sembrare nella nostra società della Condivisione Totale - è comunque plausibile che non si sapesse nulla di tutto ciò. Come è legittimo che si sappia ancora poco o niente dei funerali. A tal proposito Jedidiah Bracy (esperto di data security e information privacy) sostiene che David Bowie abbia compiuto un mezzo miracolo: mantenendo il segreto, ha provato che la privacy a questo mondo può ancora esistere.
Queste non-informazioni (o informazioni parziali) rientrano dunque nella realtà. La mia stupida fantasia subentra ora.
Immagino che il Duca Bianco abbia pianificato tutto per mettere in scena la prima resurrezione della storia che verrà raccontata ai telegiornali. Mi immagino che risorga dal suo sepolcro (l'armadio in cui si chiude alla fine del suo ultimo video) esattamente come Lazzaro, che non a caso è il titolo del suo ultimo singolo e del già citato musical che ha scritto insieme al commediografo e sceneggiatore Enda Walsh. A rafforzare la connotazione religiosa c'è anche il particolare diffuso da NME: il settimanale britannico ha svelato che l'ultimo account che Bowie ha deciso di seguire su Twitter è nientemeno che Dio.
Molti potrebbero pensare che una “trovata” del genere sia un'idea di cattivissimo gusto (e come biasimarli?), ma personalmente la prenderei come il Troll Definitivo nei confronti dell'informazione moderna. Dopotutto oggi diffondere una notizia sui social network e farla sembrare vera non è così difficile; i cosiddetti Hoax non si contano già da qualche anno a questa parte. “Guardatemi, sono in paradiso. Ora tutti mi conoscono”. Suona tanto come la proverbiale “Tutti ti amano quando sei due metri sottoterra” di John Lennon. Mettere in pratica un asserto così importante (e vero) è una questione delicatissima. Ma chi meglio di lui potrebbe scherzare con la morte? Chi più di lui potrebbe compiere quella che mi sento di definire la Trasgressione Finale? Oltretutto, se è riuscito a nascondersi dai riflettori per periodi lunghissimi (anni), che cosa saranno mai 4 miseri giorni (che poi è il tempo che ha passato Lazzaro nel sepolcro)?
Quando riapro gli occhi vedo il puzzle che si sgretola di fronte alla cinica realtà. Osservo gli stessi elementi che hanno alimentato la mia stupida fantasia (le poche e frammentarie testimonianze, i gesti che compie nel video, i testi dei pezzi, perfino la questione twitter) e torno a considerarli come indizi inequivocabili di quella che è stata definita la sua Ultima Opera d'Arte. L'Addio. E allora mi immagino David Bowie su un altare che ha le sembianze di una consolle. Bende sugli occhi e cuffie in testa, recita la parte del dj che è quello che suona, e che ha un pubblico che crede in lui. Lo vedo che prende il microfono, e annuncia che la serata finirà con il prossimo pezzo. Parte Lazarus, e dopo qualche minuto – come tutte le cose belle – finisce. Ma io rimango lì, sulla pista da ballo. A gridare “Ultimo, ultimo, ultimo”.
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