5.17.2014

Coldplay - Ghost stories (2014, Parlophone)

Esiste un’indissolubile relazione (biunivoca e bidirezionale) tra la vita di un musicista e quello che scrive. Inutile sottolineare che l’amore – nelle note come nelle emozioni – occupa una posizione di rilievo: la storia della musica conta un numero spropositato di canzoni composte con una figura ingombrante nella testa. In questo caso la separazione tra Chris Martin e Gwyneth Paltrow ha influito pesantemente sull’andamento (lento) di Ghost Stories – un disco concettuale che in teoria analizza il riflesso delle azioni compiute in passato su presente e futuro di una relazione (un concetto un po’ alla Sliding Doors), ma che finisce inevitabilmente per virare sul personale. Nel 2005 Chris dedicò Fix You e Swallowed In The Sea alla sua bella, alle prese con l’elaborazione di un grave lutto familiare; oggi c’è un intero album che racconta il loro matrimonio andato in frantumi, con tanto di figli che appaiono in due brani (Apple in Always In My Head, Moses in O – a detta di Martin «il pezzo più bello che abbiamo mai scritto»).

Ma le tracce che compongono il sesto disco dei Coldplay non provengono dall’ispirazione del solo Chris: proprio come farebbe qualsiasi persona che deve fare i conti con la fine di una storia, lui ha cercato l’aiuto degli amici. Ha incoraggiato i membri del gruppo a portare nuove idee in studio invece di limitarsi ad arrangiare le sue melodie: è un approccio che la band non aveva mai sperimentato prima. Dato il tema preso in esame sarebbe stato da ingenui aspettarsi ritornelli allegri e rime spensierate: nonostante Martin sostenga che il messaggio finale sia «non mollare mai», l’atmosfera generale è plumbea. Perfino i primi due brani, che descrivono la fase dell’innamoramento, hanno un retrogusto malinconico. E proprio Magic rappresenta un ottimo punto di partenza per entrare nel mood dell’album. Molti degli elementi presenti nel singolo ricorrono con puntualità nei tre quarti d’ora scarsi di Ghost Stories: il ritmo compassato, il suono elettronico della batteria, l’utilizzo di pad e synth “nebbiosi”, l’assenza quasi totale di parti vocali energiche. Escludendo A Sky Full Of Stars (dove la produzione di Avicii s’indovina fin dal giro iniziale di piano che è un suo marchio di fabbrica), l’album si presenta come una vera e propria raccolta di ballad, in alcuni casi azzeccate (la conturbante Midnight, l’aurea O e l’intensa Oceans – che per intenzione e interpretazione ricorda i primi e più ruvidi Coldplay), in altri meno incisive (le vacue Another’s Arm e Ink, e la non esaltante True Love confezionata da Timbaland). Liricamente Ghost Stories è caldamente sconsigliato a chi ama trovare metafore nascoste nei testi, diretti e forse fin troppo semplici nella loro onestà. Ma fortunatamente le melodie sopperiscono a questa mancanza, uscendo vincenti nella loro immediatezza. Il livello medio delle composizioni è alto, ma è possibile che a posteriori questo disco verrà ricordato come una divagazione, slegata da un percorso artistico finora ben definito. Una divagazione nostalgica che in ogni caso fa bene al cuore.

8/10

Highlights: Always in my head, Magic, Midnight, Oceans, O.


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