Hai voglia a strombazzare il ritorno di Skye se quello che ne esce è un disco insipido come "Blood like lemonade" (2010); la rimpatriata di tre anni fa non ha sortito gli effetti desiderati, e i Morcheeba sono rimasti imprigionati in quel limbo di mediocrità post "Fragments of freedom" (l’album del 2000 che conteneva la hit "Rome wasn't built in a day").
E ora come se la passano? Verrebbe da dire come sempre: a livello sonoro e di composizione non è cambiato quasi nulla. Intanto però il tempo scorre impietoso, rendendo francamente impossibile stupirsi ascoltando pezzi che mescolano swing e scratch tipici dell’hip-hop con bassi funkeggianti e accessibili pattern di chitarra. Intendiamoci: qui non si sta parlando di brutta musica – tutt’altro. Ma certamente non abbiamo a che fare con pezzi che catturano l’attenzione al punto di costringerci a mettere in secondo piano finestre e applicazioni, o a interrompere il cazzeggio su facebook. Magari detto così sembra una vaccata, ma in tempi di multi-tasking spinto il valore di un album è misurabile anche attraverso questa sorta di “indice di rapimento”. Fossimo negli anni 90’ la prospettiva sarebbe completamente differente: ammetto di essermi sorbito decine di dischi dichiaratamente chill-out (leggi: carta da parati) e di averne decantato spudoratamente le lodi, accorgendomi solo parecchi anni dopo che una misera percentuale di quei lavori aveva sostanza, mentre il resto erano solo gradevoli successioni di note atte a riempire i silenzi tra un drink e una chiacchiera. "Head up high" fila via leggerino e scontato fin dal primo ascolto; con rare eccezioni (come "Gimme your love" e "Under the ice") fa di tutto per non disturbare eccessivamente, mettendo ancora una volta in risalto il già deficitario rapporto brani incisi / pezzi da ricordare della discografia dei Morcheeba.
6/10
Highlights: Gimme your love, Call it love, Under the ice, Do you good.
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