Avventurarsi nei crediti degli album di una popstar del 2012 è una sfida. In altri tempi per costruire il mitico "Thriller" ci vollero un produttore e quattro compositori; nelle note di copertina di "Unapologetic" le cose si complicano, perché di produttori ce ne sono quasi venti, mentre per contare gli autori servirebbe un ragioniere. Questo fatalmente implica una mancanza di coerenza globale, forse in parte giustificata dalla cultura del mash-up che caratterizza la nostra epoca. C’è anche da dire che l’attitudine del “fritto misto” ha fatto si che il mondo del pop sia giunto a una sorta di saturazione dove non esistono più estremi, e che quindi la disordinata orgia di generi tirati in ballo benefici di una naturale propensione all’amalgama, soprattutto a livello sonoro.
Ma come sorprendersi di fronte all’immancabile pezzo con la cassa affidato al team di David “prezzemolo” Guetta, che con "Right now" si accomoda sugli standard dance degli ultimi tempi con disarmante arrendevolezza? Come non dimenticarsi in fretta del soul moderno delle stantie "Pour it up" e "Loveeeeeee song" o dell’anemica escursione in levare di "No love allowed"? Anche il tentativo simil-dubstep di "Lost in paradise" è bypassabile senza rimorsi.
In altri casi va meglio; il singolo "Diamonds" (scritto con Sia e prodotto dal team dei Norvegesi Stargate) funziona alla perfezione. Valido anche l’apporto del jazzista Carlos McKinney, che oltre a forgiare un ottimo tributo alla house vecchia scuola che melodicamente profuma di Michael Jackson ("Nobody’s business", insieme a Chris Brown), saccheggia con sagacia i Police in una "Love without tragedy" che fa il proprio dovere. Chase & Status (duo Londinese incline a sperimentazioni d&b e dubstep) si adattano ai limiti del caso e sfornano una "Jump" semplice e ben disegnata, mentre "Numb" (che parte da un brano di Kanye West e vede un efficace featuring di Eminem) è il brano più scuro e raffinato del disco.
Queste prevedibili luci ed ombre non sono altro che il riflesso di una carenza di personalità ben definita, fatale conseguenza della mancanza di coerenza di cui si è parlato prima. Anche se le intenzioni di Rihanna fossero state ammirabili (voglia di esplorare diversi territori e unirli in un contesto pop), alla fine vince la sensazione che la brava cantante barbadiana abbia voluto muovere un passo ambizioso senza la necessaria convinzione. E il risultato è che "Unapologetic" più che un vero album pare un groviglio di episodi, alcuni riusciti altri meno.
5.5/10
Highlights: Diamonds, Numb, Jump, Nobody's business.
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