9/10
Highlights: Tutto.
Sofisticata naturalezza. Se di solito i dischi elaborati richiedono un buon numero di ascolti per entrarti dentro, lo stupore è giustificatissimo quando ti accorgi presto che "Port of morrow" è un capolavoro di eleganza e ricercatezza, ma istintivamente comprensibile. Una boccata d'aria non fresca, ma gelida, di quelle che purificano nel profondo. Assolutamente imprescindibile.
Pensate a quanti problemi si deve porre un’artista che nel 2012 decide di incidere un album di cover. Proprio ora, nell’epoca del download selvaggio, di Youtube che fa più clic (gratis) di I-Tunes (a pagamento) e dei remix realizzati dai mille Mr. Nessuno senza bisogno di autorizzazione che spuntano come funghi online. Più che una sfida, pare quasi un azzardo. Ci vogliono idee particolari, o la convinzione di essere in grado di infondere nuova linfa nei pezzi riproposti. Bisogna trovare un filo conduttore tra le canzoni scelte, occorre trovare degli accostamenti validi. Una cosa è certa: per quanto si possa essere talentuosi, conviene evitare il gran minestrone di brani pescati qua e là, senza un senso logico e per giunta conditi da un’interpretazione con poca anima. Ma l’hanno detto a Macy?
Richard Fearless senza Tim Holmes descrive il suono di "Trans-love energies" come etereo, notturno e tossico. Parole confermate dall'incedere sospettoso e angosciante di "Silver time machine", dalle vibrazioni house di "Your loft my acid", dai ritmi sghembi di "Meditation" e "Coum" e dalle tinte cupe della gelida "Witchdance". Ma anche dall'apertura rock di "Black hole" e dalla psichedelia di "Drone reich" e "Lightning bolt". Intenso.
La gente fa l’impegnata, ma poi non ha voglia di impegnarsi / per questo nella musica qua bisogna semplificarsi. Non esistono parole migliori per sintetizzare lo spirito di un disco che spazia in ogni dove (sia a livello stilistico che di collaborazioni), ma nonostante il dichiarato e voluto eclettismo riesce a mantenere una coesione impeccabile - forse proprio grazie ai fili invisibili menzionati nel titolo. Frutto di anni di esperienze radiofoniche e innumerevoli serate ai giradischi, l’esordio di Aldino Di Chiano a nome Dj Aladyn è un incontro felice tra underground e mainstream. Qui la maestria compositiva di Remo Anzovino va a braccetto con le rime di Dargen, e l’ironia di Alberto Pernazza (Ex-Otago) duetta con la rabbia di Pino Scotto su una base “metal-elettronica” con incredibile naturalezza; qui l’anima funk di Saturnino s’intreccia con la disco-tamarria (in senso buono) dei Powerfrancers, e la voce suadente di Diego Mancino si piega confortevolmente a scratch d’autore. Fresco, potente e ispirato.