Funky soul liquido che si fa largo tra beat hip-hop sperimentali e compressioni spinte.
7/10
Highlights: Excuses, Pretentious, Wake up!, More excuses, Saint Christopher.
Se vi definite dei puristi in quanto a musica il disco dei Cani non fa per voi. Nel loro sorprendente album d’esordio, infatti, non troverete le classiche strutture strofa-ponte-ritornello, la rima è un optional e la metrica non viene quasi mai rispettata. Se poi per voi il rock fa rima con chitarra, voltate pagina: gli undici pezzi qui inclusi – composti e suonati da un solo misterioso personaggio – fanno leva sull’elettronica, per quanto distorta e fracassona. Ad essere sinceri, questa musica sarebbe ben poca cosa se non fosse il miglior modo per accompagnare i testi, che dipingono con grande (auto)ironia un quadretto neorealista sconfortante. Intendiamoci, sciorinare verità senza censura non rappresenta certo un’impresa; ma se vuoi che ti ascoltino devi renderti interessante, e i Cani lo sanno bene a quanto pare.
La pratica del featuring nel mondo dell’hip-hop è diventata ormai una regola: tu sputi due rime nel mio ultimo singolo e io rappo su una traccia del tuo prossimo disco. Ma quello di "Watch the throne" è un esperimento che va ben oltre le regole: stiamo infatti parlando di un intero album che unisce il rapper più ricco e famoso in attività (il Newyorkese Shawn Corey Carter, in arte Jay-Z) e quello più influente degli ultimi 10 anni (Kanye Omari West, da Chicago). E allora largo ai proverbiali cut & paste di Kanye (che nel 2004 è venuto alla ribalta tagliando, incollando e cambiando di tonalità un pezzo di Chaka Khan), che si diverte a saccheggiare sia mostri sacri come Otis Redding, Nina Simone e James Brown che i più moderni Cassius (niente di stupefacente, visto che molti ricorderanno che aveva già preso in prestito una hit dei Daft Punk per la sua "Stronger"). Il risultato di questa super-collaborazione non è rivoluzionario, ma sottolinea bravura e dedizione di due personaggi che – come da copertina – possono contare sul prezioso dono di trasformare in oro tutto quello che toccano.
"Dedication" mescola l'oscurità nebulosa di Burial, le batterie artificiose dell'electro e le ritmiche sghembe degli Autechre meno involuti con una coerenza opinabile. Sedici schizzi digitali densi di rifiniture calibrate, ma che in definitiva si ricordano un po' pochino; un passo indietro rispetto a quella gemma post-rave che fu "Where were u in '92?".