Cosa si prova a camminare sospesi su un filo come da copertina? Chiedetelo agli Incubus. Perchè, con tutta la buona volontà, Brandon Boyd e soci non possono fare gli gnorri: sapevano perfettamente che incidere un album come questo avrebbe innescato una miriade di polemiche. Saranno pochissimi i fan della vecchia guardia che riusciranno a trovare una scusa per giustificare un disco composto quasi esclusivamente da ballad; dall'altra parte la schiera di ascoltatori che si erano avvicinati alla band californiana per merito di pezzi come "Love hurts" o "Dig" saranno ben contenti di sapere che il distorsore della chitarra di Mike Einziger si è preso una pausa. "If not now, when?" rappresenta un rischio di quelli enormi: non solo trascura chi ha sempre apprezzato il loro lato più eclettico e trasgressivo, ma deve fare anche i conti con la "bellezza" dei brani, talmente ben scritti che faranno fatica a rientrare negli standard pop di questi tempi. La sensazione ascoltando un lento dopo l'altro è straniante; tanto che quando finalmente il ritmo si alza (all'alba della traccia 9, "Switch blade") si prova un senso di liberazione, si rimettono per un momento i piedi saldamente sul terreno - ma non basterà un pezzo per perdonare gli Incubus, almeno per chi si sente tradito da un album così soft. Il materiale per fare la guerra è servito; ma messi da parte gli estremismi - opportuni o meno - non si può oggettivamente dire che il settimo lavoro della band sia brutto. La storia della musica è piena zeppa di artisti che hanno dirottato pesantemente il loro stile anche solo per un episodio della loro discografia; in alcuni casi è andata bene, in altri meno bene. Ma ora è troppo presto per dare un giudizio definitivo: il tempo dirà se "If not now, when?" è stata una mossa azzardata ma plausibile oppure una semplice e dimenticabile caduta di stile.
7/10
Highlights: If not now when?, Promises promises, Thieves, Isadore, In the company of wolves, Switch blade.
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