9.06.2010

Arcade Fire - The suburbs (2010, City Slang)

C'è una cosa che colpisce immediatamente ascoltando i tre brani che aprono il nuovo lavoro degli Arcade Fire: la vena espressiva di gran lunga più leggera rispetto a quanto ci avevano fatto ascoltare in precedenza. I toni ultra-cupi di "Funeral" e "Neon light" vengono smorzati da un suono classico e talvolta spensierato ("Ready to start"), ritmi che si riallacciano con facilità a folk e country, pianoforti che scandiscono il tempo in battere ("The suburbs") e perfino un ammiccamento spinto al rock radiofonico anni 80 ("Modern man") tutt’altro che fuori luogo. La tensione emotiva che conosciamo appare con "Rococo" - dove le pennate che trascinano un tempo moderatamente lento sono accompagnate da cori e archi - e soprattutto con "Empty room", dove la tensione iniziale viene improvvisamente squarciata da un turbine sonoro sostenuto e d’impatto. L’impasto di chitarre che caratterizza "City with no children" è seguito da una drammatica "Half light I", che sfocia in una seconda parte più ritmata ma comunque inquietante. "Suburban war", "Wasted hours" e "Deep blue" riportano tutto alla pura classicità che ha aperto l’album, ma in mezzo c’è il rock’n’roll aggressivo - quasi punk - di "Month of may" a spezzare l’incantesimo. Il singolo "We used to wait" è un’ode nostalgica, sospesa e speranzosa, mentre prima della reprise di "The suburbs" che chiude il disco ecco che l’eclettismo della band tocca l’apice con "Sprawl" I e II: l’intimità toccante della prima parte si rovescia in un lucido farneticamento post-disco che proprio non ti aspetti. Non è più tempo di stupirsi di fronte alle intuizioni geniali dei ragazzi di Montréal; adesso bisogna elogiare la padronanza dei mezzi che hanno messo in luce con "The suburbs", un album che molti gruppi – anche più affermati - possono solo sognare.

8.5/10

Highlights: Tutto.

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