5.05.2015

Mumford & Sons - Wilder mind (2015, V2)

Il rischio è di quelli enormi: l'equivalente di recidere con un colpo secco il cordone ombelicale che lega Marcus Mumford & Soci al proprio passato. Un passato di grande e fulmineo successo, frutto di scelte quantomeno bizzarre o comunque fuori contesto rispetto ai costumi della scena rock – come l'implementazione di strumenti acustici fuori moda e fuori dal tempo (vedi il banjo) e l'utilizzo con il contagocce della batteria (sostituita da infiniti strati di suoni a elevare l'impatto ritmico dei brani). Diciamolo senza tante esitazioni: qui il quartetto di Londra si standardizza. L'ascolto del singolo Believe aveva già messo in chiaro la situazione, confermata in maniera convinta dalle confessioni dei ragazzi sul fatto che tale strada fosse ad oggi l'unica percorribile dalla band. La loro speranza è che il cambio radicale di stile non venga frainteso: guai a pensare che sia stata una mossa pianificata per occupare un posto ancora più rilevante nella scena mainstream. E in effetti un argomento che gioca a loro favore è sotto gli occhi di tutti: i Mumford & Sons nelle grazie degli ascoltatori di mezzo mondo ci erano già entrati da un pezzo, e percorrendo una via tutt'altro che scontata. Dunque quale bisogno potevano avere di ricercare un suono più facilmente assimilabile dal grande pubblico? Probabilmente nessuno. Ciò detto, è quasi pleonastico affermare che gran parte dei fan della vecchia guardia esiteranno a riconoscersi in un disco che – nel bene, nel male o nell'indifferenza – coglie alla sprovvista. Fortuna che al banco del mixer si siede un personaggio che ne sa parecchio. Quel James Ford (ex Simian e adesso metà dei Simian Mobile Disco) fedelissimo di Alex Turner. Un musicista giovane, eclettico e moderno. Ebbene, i Mumford farebbero bene a tenerselo stretto; perché per quanto le melodie di Wilder Mind non siano affatto da buttare, il vestito che James confeziona è inattaccabile e diventa l'armatura impenetrabile di un lavoro che avrebbe potuto causare più danni che benefici. Il risultato è che - pur risultando per ovvie ragioni meno intrigante di Sigh No More e Babel - Wilder Mind alla fine se la cava: inciampa in un paio di episodi tiepidi (come la title track), ma tra ballad gentili (Cold Arms, Broad Shouldered Beasts), mezzi tempi leggeri (Just Smoke) e brani decisamente più energici (Tompkins Square Park, The Wolf, Only Love) scorre piacevole. Niente miracoli, ma nemmeno condanne senza appello: e dati i presupposti, c'è di che gioire.

7.5/10

Highlights: 
Believe, Just smoke, Monster, Snake eyes, Broad-shouldered beasts, Ditmas, Only love.

Nessun commento: