4.07.2013

The Knife - Shaking the habitual (2013, Rabid Records)

“A world without extreme wealth is possible!” recita la portavoce di un’improbabile organizzazione immaginaria raffigurata nei fumetti che accompagnano l’ascolto libero del nuovo album dei The Knife sul loro sito ufficiale. C’è una piaga che affligge la nostra società: la malattia della ricchezza esagerata. Curiamo i ricchi. Aiutiamoli a capire il concetto di democrazia e sensibilizziamoli sul tema del risparmio energetico. Combattiamo il consumismo, agevoliamo la natura. Il rosa shocking che colora le vignette volutamente estreme della pagina http://theknife.net non fa altro che alimentare la provocazione; e una volta assodato il fatto che la polemica passa sia attraverso le parole (il titolo del disco) che attraverso le immagini, sarebbe fuori luogo aspettarsi che la musica possa essere da meno. I quasi 100 minuti che compongono "Shaking the habitual" – quarto album del duo svedese composto da Karin Dreijer Andersson e Olof Dreijer - sono terribilmente ostici. Quindi chi sperava in melodie alla "Silent shout" (il disco del botto del 2006, capace di sconfinare in certi territori synth-pop senza sputtanarsi) si prepari a una cocente delusione: qui la parola “concettuale” è all’ordine del giorno. "Old dreams waiting to be realized" è una traccia della lunghezza di 19 minuti in cui si alternano silenzi, echi lontani, armonici naturali e distorsioni accennate. "Cherry on top" dura quasi 9 minuti, ma la voce entra al quinto abbondante e quello che succede prima è qualcosa di psichedelico nel senso più vago e inafferrabile del termine. Non si tratta di un lavoro completamente sperimentale: per intenderci, non si raggiungono i livelli di intellettualismo ostentati nella collaborazione con Mt. Sims e Planningtorock del 2010 ("Tomorrow, in a year"). Qualche canzone fa capolino - vedi le introduttive "A tooth for an eye" e "Full of fire", piuttosto che "Raging lung", "Stay out here", "Ready to lose" o la ballad "Wrap your arms around me" - ma le (complicate) melodie sono puntualmente sepolte sotto strati di arrangiamenti avventurosi e poco abbordabili. Ci sono poi i ritmi tribali prossimi all’isterismo di "Without you my life would be boring", le elucubrazioni techno di "Networking", un paio di interludi sotto al minuto ("Crake" e "Oryx") che a conti fatti hanno davvero poco senso di esistere e il delirio semi-acappella di "Fracking fluid injection". Inutile girarci intorno: l’ascolto di "Shaking the habitual" è un’operazione molto impegnativa. Un’operazione che una volta ultimata forse soddisferà i palati fini degli amanti dei virtuosismi; ma i comuni mortali che 7 anni fa fischiettavano le varie "Like a pen", "Marble house" o "We share our mother’s health" si ritroveranno a dir poco disorientati – sempre che la pesantezza di alcuni momenti non li abbia convinti a interrompere l’ascolto prima della fine dell’album. Ma questa potrebbe essere (anzi, con tutta probabilità è) una consapevole scelta artistica; il vero problema è che alla fine il messaggio arriva chiaramente attraverso le vignette, mentre la musica (che in questo caso dovrebbe essere il mezzo principale) fa fatica a lasciare il segno. Quando ti batti per una causa utilizzando un linguaggio ai più incomprensibile il rischio che le tue idee passino inosservate è molto, molto alto.

5.5/10

Highlights: A tooth for an eye, Full of fire, Wrap your arms around me, Ready to lose.

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