Adele Emeli Sandè trova il coraggio di debuttare dopo essersi nascosta tra parentesi nelle note di dischi altrui con il suo eccellente songwriting. Pop semplice, educato e di grande spessore emotivo.
8/10
Highlights: Heaven, My kind of love, Mountains, Clown, Suitcase, Breaking the law, River, Read all about it (Part III).
La pausa a tempo indeterminato che si sono presi Butch Vig, Shirley Manson, Duke Erikson e Steve Marker è ora quantificabile: gli anni che dividono l'ultimo "Bleed like me" da questo nuovo disco sono ben sette. E l’impatto sonoro che travolge fin dalle prime note dell'opener "Automatic system habit" porta immediatamente alla conclusione che questo lungo momento di riflessione abbia giovato alla grande band del 'piccolo' Wisconsin. La forza dei Garbage è sempre stata quella di unire melodie orecchiabili (ma di spessore) a un rock contaminato da scorie industriali, rendendo così digeribile un suono duro e dalle distorsioni spesso invadenti a un pubblico molto vasto. L'abilità di giocarsi i compromessi nel modo giusto è nelle mani di quella leggenda che risponde al nome di Butch Vig, capace di osare tritando in modo azzardato la voce di Shirley in "Control" come di mettere il suo talento al servizio della più classica delle ballad "Not your kind of people". E’ un equilibrio perfetto, e – cosa da non sottovalutare – tutt'altro che forzato o ricercato: è la rappresentazione del credo di una band che ci sa fare e suona in maniera sincera e dannatamente azzeccata. E’ la costruzione di un muro sonoro, i cui simbolici mattoni sono identificabili in intelligenza, tecnica e passione.
“Possiamo andare sul sicuro / Oppure improvvisare un po’ / Seguire il leader / Oppure creare le nostre leggi”, cantava l’esuberante Beth Ditto in "Heavy cross", primo e fortunatissimo singolo del loro quarto album "Music for men". Questione di scelte: di fronte a tale bivio il trio di Washington fino ad allora aveva puntato tutto sulla strada alternativa, disobbedendo alle regole. Nel 2006 l’impatto dei Gossip nel mainstream era stato devastante: attraverso una miscela altamente infiammabile di rock, soul, funk, disco, dance ed estetica punk avevano colpito tutti. Poco prima dell’uscita di "A joyful noise" spuntano alcune dichiarazioni di Beth, che senza vergogna afferma che il quinto album dei Gossip è un affare 'più adulto e triste' rispetto ai loro standard. D’altra parte in sede di produzione ci sono Brian Higgins (Kylie Minogue, Pet Shop Boys) e Mark Ronson (Amy Winehouse, Lily Allen, Robbie Williams e chi più ne ha più ne metta), e nell’ultimo anno l’eccentrica vocalist ha ammesso di essersi intenzionalmente sottoposta a un’overdose di Abba. Il termine “pop” appare minaccioso all’orizzonte, portandosi dietro tutte le fate e gli spettri del caso.
La conferma è nel primo (validissimo) singolo: "Perfect world" rimane fedele al sound dei Gossip, ma con un’inclinazione malinconica alla quale non eravamo affatto abituati. Un particolare che salta subito all’orecchio è la latitanza delle proverbiali urla di Beth, che in un certo senso rinuncia ad affondare. Sembra quasi che la sua gamma di sfumature vocali si sia spostata verso il basso, in favore del rispetto di un ipotetico limite. E’ una sensazione che pervade l’intero album, fatta eccezione per le piene e roboanti "Horns" e "I won’t play". La vena disco-dark di "Get a job" – pezzo caratterizzato da un basso vischioso in battere e dalle caratteristiche progressioni di chitarra elettrica – ha un suo perché, così come la dinamicità di "Involved" e l’approccio funk di "Into the wild". Ci sono anche un paio di episodi schiettamente dance: la sfrontatezza di "Move in the right direction" e la classicità house di "Get lost" sono tutt’altro che spiacevoli, ma forse leggermente innocue. Il vero punto di domanda spunta con un brano come "Casualties of war": premettendo che la canzone in sé è di ottima fattura, viene spontaneo chiedersi se una melodia tanto celestiale (supportata da un arrangiamento così pulito e perfettino) non avrebbe fatto la fortuna di una qualche diva più posata.
E’ prematuro affermare che i Gossip abbiano voltato pagina, ma non è fuori luogo specificare che un cambiamento c’è stato, o almeno è in corso. Sia chiaro, il trio rimane un punto di riferimento per la scena moderna e l’elenco di generi musicali magistralmente shakerato dalla band è ancora presente nella sua interezza. Ma con "A joyful noise" l’attitudine punk viene in parte sacrificata, e con essa se ne va anche l’istinto tagliente, soffocato da un trattamento più pensato e meno improvvisato delle loro composizioni. Non che Beth non ci avesse avvisati.
7.5/10
Highlights: Perfect world, Move in the right direction, Into the wild, Involved, Horns, I won't play.
Un viaggio sensuale - ma mai volgare - nei meandri della deep-house più morbida. Un affresco delicato dalle tinte tenebrose, nel segno della vecchia scuola. Quattordici tracce - non immuni da difetti - che mettono in mostra passione e un certo stile.
7.5/10
Highlights: Walking in the night, Aus, Ghetto Kraviz, Working, Love or go, Petr.
Il terzo lavoro in studio di Isaac Slade e soci è il solito affare di melodie a presa rapida e falsetti prevedibili; ma il rock soffice dei Fray si è evoluto nella scrittura e nell'interpretazione, culminando in una godibile raccolta di ballad dolci e accomodanti.
7/10
Highlights: Heartbeat, The fighter, I can barely say, 48 to go, Be still.
Gli Australiani alla terza prova ribadiscono di avere il pop nel sangue; è un peccato che lo ostentino con una produzione così luccicante, unica pecca di un disco melodicamente lodevole.
7/10
Highlights: We love, Big, Really want to see you again, 1984.