Se aspettavate i Baustelle per un’altra "Charlie fa surf" molto probabilmente rimarrete delusi. Se ciò che vi aveva colpito di "Amen" era il suono compresso e l’impatto violento ci resterete male all’ennesima potenza. Detto senza mezzi termini: "I mistici dell’occidente" è un album per molti (fan, filosofi e chi cerca un po’ di profondità) ma non per tutti (il popolo), dove per “tutti” si intende chi aveva sorriso ingenuamente canticchiando la melodia contagiosa e le parole solo apparentemente superficiali che raccontavano le gesta di un quindicenne alle prese con drum-machine, filmati porno e m.d.m.a.. Critici, disillusi e pungenti per costituzione, i ragazzi di Montepulciano non perdono nemmeno un secondo per guardarsi alle spalle, ma puntano dritti verso una direzione musicale a dir poco coraggiosa; basti pensare all’apocalittica intro di organo di "L’indaco", o alle evoluzioni senza confini di un pezzo ultra-contaminato come la title-track. Tra suggestioni Morriconiane e citazioni che provengono dalla canzone popolare, i Baustelle mettono in mostra le loro ben note progressioni infinite di accordi puntando molto su arrangiamenti orchestrali in bilico tra epicità western e crudo modernismo. La figura di Francesco Bianconi, da sempre perno della band, è qui amplificata dal suo ruolo attivo in fase di produzione (accanto a Pat McCartney) e dal sacrificio parziale della voce di Rachele Bastrenghi (la prima volta che compare in maniera attiva è nel quinto brano, Gli spietati), che in compenso esegue una struggente "L’ultima notte felice del mondo" in fondo al disco. Poesia moderna come in Italia non la fa nessuno.
8.5/10
Highlights: L'indaco, I mistici dell'occidente, Le rane, Gli spietati, La bambolina, Il sottoscritto, L'ultima notte felice del mondo.