Non ai livelli di "Angels with dirty faces" e "Three", ma pur sempre una conferma del fatto che questo progetto è una delle realtà migliori del panorama pop odierno.7/10
Highlights: Push the button, Follow me home, Ugly, Bruised, Now you're gone.
Funky stuff; l'hip-hop ripulito da pistole-culi-e-droga che viene fuori nel suo spirito originario con taglia e cuci fantasiosi, virtuosismi da professional turntablist e una produzione notevole. Respect.
Una voce che sembra provenire direttamente dal paradiso e un songwriting da applausi contaminato da soul, folk, blues, jazz e anche da quelle linee melodiche che hanno fatto la fortuna del trip-hop. Basta ascoltare l'introduttiva "Like a star" per rendersi conto che si ha a che fare con qualcosa di speciale (d'altra parte quando Alessio Bertallot si accorge di qualcosa è sempre bene ascoltarlo attentamente); il singolo "Put your records on" non rende pienamente giustizia al valore della ventiseienne di Leeds, che si esprime in tutta la sua dirompente classe in ballate come "Enchantment" e "Till it happens to you", raggiungendo il culmine con l'inafferrabile, struggente "Choux pastry heart". Sicuramente uno dei dischi del 2006.
Non è facile capire come i Texas riescano ad essere così perfetti in quello che fanno; questo disco racchiude dentro di sè la definizione di "Pop-rock" di gusto. Melodie intrise di malinconia anni 80, arrangiamenti classici ma terribilmente funzionali (oltretutto orchestrati in maniera impeccabile) e quel tocco di elettronica che è esattamente quello che ci vuole per modernizzare il contesto. Solo un paio di tracce più deboli (Get down tonight e Masterthief), per il resto è pura magia.
We should break using technology; il primo disco di Treva Whateva per la Ninjatune dei Coldcut è tutto in questa frase. Recuperi intelligenti di pezzi dimenticati dal tempo riassestati year-twothousand in un prepotente break-jazz dalla produzione sopra le righe. Se la linea preferita è perlopiù funk (vedi il ruvidissimo groove di Dustbowl e le percussioni salsoul di Driving reign) meritano una citazione la digressione "dub'n'bass" dell'ottima Dedicated V.i.p, il divertente big beat a la Norman Cook di Singalong e l'avventurosa Havana Ball che scherza con ritmi latino americani davvero cheap riuscendo nella difficile impresa di evitare rovinose cadute di stile. A completare il quadro spiccano anche un paio di intermezzi lounge molto ben fatti.
Si chiama techno, e Sven di techno ne sa. La produzione è in ottime mani (Alter Ego e Anthony Rother), mentre merita una menzione la comparsata di Miss Kittin nella trashissima cover di "je t'aime (moi non plus)".
Sofferto requiem acustico orchestrato con maestria che passa con disinvoltura dal folk al jazz in una strabiliante coerenza alternative; 16 ballate soffici e tristi ridotte all'osso (la durata media di un brano non raggiunge i 3 minuti) che mostrano il blues nella sua crudele, spietata essenza.
Malinconico synth-pop made in Uk che si ispira (soprattutto nei ruvidi beat che accompagnano i pezzi) a quello che sta accadendo nella metà degli anni 90 a Bristol e dintorni, preferendo però la leggerezza del reggae allo spleen del trip-hop; melodicamente e metricamente i riferimenti agli Smiths si sprecano, sfiorando il plagio in "Not so manic now" e "Just a girl she said", per culminare in una citazione esplicita di Morrissey in "The day I see you again". Anche per questo, validissimo.