Quando partono le rondini / Lasciale andare
Non domandare più / Che ragione c'è?
Quando passa il carro funebre / Fallo passare”
Comincia così L'Indaco, il primo pezzo del quinto album dei Baustelle. Le voci all'unisono di Francesco Bianconi e Rachele Bastreghi irrompono dopo quasi due minuti di introduzione strumentale, incitando un'agrodolce accettazione della realtà. Cosa potrebbe simboleggiare quel carro funebre che se ne va, spingendo il trio di Montepulciano a sconsigliare di porsi domande a riguardo? Forse il mercato discografico, che poi è il microcosmo in cui vivono, sempre più sull'orlo del baratro. Oppure un mercato ben più ampio: quello della società occidentale, che grazie alle sue regole impietose (e da un punto di vista strettamente umano poco sensate) è destinato prima o poi ad implodere.
“Sarebbe comodo / Andarsene per sempre / Andarsene da qui / Andarsene così”, recitavano le ultime parole del brano di congedo del disco precedente. Sarebbe senz'altro comodo, ma non servirebbe a risolvere il problema.
Per questo un'affermazione come “Non è impossibile pensare un altro mondo”, timido barlume di speranza che affiora in Andarsene Così sul finale del disfattista Amen, diventa il mantra di I Mistici Dell'Occidente. O almeno, ci prova: “E non buttarti giù / Che in fin dei conti c'è / Un azzurro che fa piangere / Oltre le nubi”. Parole che suonano quantomai attuali nell'assurdo momento storico che stiamo vivendo, e che probabilmente in questi giorni ci ripetiamo l'un l'altro per farci coraggio. Ma parlare di profezia sarebbe sbagliato: dopotutto, Bianconi ha sempre dichiarato di volere soltanto osservare scrupolosamente la realtà che lo circonda, riversando i suoi pensieri nei testi delle sue canzoni. «Qui dentro ci sono le parole più ottimiste che abbia mai scritto – mi ha raccontato in un'intervista di dieci anni esatti fa, il giorno prima della pubblicazione di I Mistici Dell'Occidente – Sono convinto che in qualche modo ci salveremo. Magari “Disprezzando la realtà”, come dico nella traccia che dà il titolo al disco. Un'espressione che non vuole essere altezzosa: con “disprezzare” intendo suggerire che non è obbligatorio credere ai prezzi che vediamo in vetrina. Il valore non può essere misurato solo attraverso i soldi. Non è l'unico modo culturale possibile».
Una delle ragioni principali che mi hanno fatto innamorare dei Baustelle è il linguaggio che utilizzano, in perfetto equilibrio tra poesia e disincanto. Nei loro testi ho sempre trovato metafore azzeccate, osservazioni acute, disamine sincere e citazioni di alto livello; non ultima quella dell'omonima antologia curata dallo storico e filosofo Elémire Zolla (I Mistici Dell'Occidente, appunto). Nel libro del 1963 Zolla raccoglie gli scritti dei veri mistici e ne dà una sua interpretazione, ponendo l'accento in particolare sulla transitorietà della vita sancita da credi e religioni, che sottolineano quanto la la redenzione e la vera felicità si possano raggiungere solo alla fine del percorso terreno. Applicando a loro modo la lezione di Zolla, i Baustelle si cimentano in una sfida proibitiva: tentare di trovare rimedio al declino culturale della società moderna senza scivolare in composizioni didascaliche o asettiche. «Abbiamo preso in prestito solo il punto di partenza del ragionamento di Zolla – precisa Francesco – Anche se la nostra è un'ottica laica, crediamo che sia importantissimo provare ad immaginare altri metodi per organizzare questo mondo».
“Gentili ascoltatori, siamo nullità”; un modo carino e forbito per esprimere l'intolleranza alla macchina consumistica in cui siamo invischiati. Accuse che raggiungono l'apice della crudezza in La Bambolina, brano che descrive l'emancipazione illusoria della donna (“La bambolina (…) si espone in vetrina / si piega, si inchina / al tempo al potere / si guarda il sedere / È grassa, si sente così”), augurandosi che una divinità qualsiasi la salvi “Dai sogni e dai falsi bisogni” e la aiuti a ritrovare la libertà (“Non compri, non esca / Non cresca, sia vera”). Per eludere l'impatto negativo del materialismo forse basterebbe evitare di crescere. “Quel che impari dalla vita non è vero”, sentenzia Bianconi in San Francesco, chiarendo il concetto nella biografia della band: «A livello emotivo, la giovinezza è il periodo di maggiore felicità dell'uomo. Quando sei piccolo vedi nel tuo futuro mille mondi diversi tutti possibili, dal cowboy all'astronauta fino all'ingegnere o al musicista; poi gli interruttori delle opzioni cominciano man mano a spegnersi e si entra in un'altra dimensione».
Sfortunatamente, la strada dell'eterna giovinezza non è percorribile: non rimane dunque che rifugiarsi nell'amore.
Quello puro de Gli Spietati, per esempio; “C'è un amore che non muore mai / Più lontano degli dei / A sapervelo spiegare / Che filosofo sarei”. O quello estremo e passionale - perfino sbagliato - che culmina nel crudo “Vamos a matar” di La Canzone Della Rivoluzione. «Nessuno vuole giustificare il ricorso alla violenza, ma in questi giorni di ristagno culturale c'è da rimpiangere le epoche in cui c'erano idee forti e la volontà di difenderle ad ogni costo». Non è un caso, dunque, che la contrapposizione tra amore e violenza faccia capolino ben 7 anni prima della pubblicazione del disco che porterà quel titolo. Fa tutto parte di un percorso che i Baustelle avevano iniziato nel 2000, esplicitando la propria immaturità senza vergogna nel titolo dell'esordio (Sussidiario Illustrato Della Giovinezza). Un percorso nel quale I Mistici Dell'Occidente viene però giudicato come qualcosa di molto simile al proverbiale passo falso.
Anche io, pur essendo un fan dichiarato, ho fatto una certa fatica a metabolizzarlo. Dopo il sorprendente La Malavita e il conclamato Amen, mi aspettavo la consacrazione definitiva; ma ho subito intuito che un disco simile non avrebbe mai sfondato, soprattutto per l'evidente carenza di singoli (gli unici due pezzi suonati dalle radio saranno Le Rane e la già citata Gli Spietati). È stata una delle prime domande che ho rivolto a Francesco quel 25 Marzo del 2010, ottenendo la risposta di chi sa di non potere fare altro che seguire onestamente il proprio istinto: «In un certo senso mi fa piacere che tu non abbia individuato dei singoli, ed è un punto di vista che condivido, trattandosi di canzoni piuttosto riflessive. Lo vedo come un atto di coraggio; se fai un mestiere creativo devi essere disposto a rischiare qualcosa, e noi lo siamo».
Pur raggiungendo il traguardo di disco d'oro e sfiorando la Targa Tenco, I Mistici Dell'Occidente finisce così per essere catalogato come “il disco strano” dei Baustelle. Perfino i diretti interessati hanno ammesso che si trattasse di una sorta di piano B, registrato in attesa di dedicarsi ad un progetto orchestrale ben più ambizioso che in quel momento per varie ragioni non era possibile realizzare. Un album che però a posteriori si rivela prezioso, diventando l'ideale anello di congiunzione tra il rock di Amen e il folk sinfonico di Fantasma. Una ricerca lodevole, ma in parte incompiuta, della verità. Un lavoro che naviga senza vento, composto nella consapevolezza che il tempo ci sfugge, ma il segno del tempo rimane.