La svolta major è sancita da tre strasuonati singoli come le super-crossover "Pretty fly (for a white guy)" e "The kids aren't alright" e la beatlesiana "Why don't you get a job?"; ma anche da una trascurabile cover di "Feelings" di Morris Albert. Non sono più gli Offspring di "Ignition" (è sconvolgente quanto la traccia finale "Pay the man" non c'azzecchi proprio), ma siccome esiste una storia è anche giusto accettare alcune evoluzioni, più o meno drammatiche; in fondo questo disco non è quanto di peggio il mercato del pop-rock abbia da offrire.
6.5/10
Highlights: Have you ever, Pretty fly (for a white guy), The kids aren't alright, She's got issues, Why don't you get a job.
Se una volta finito l'ascolto di "Ixnay on the hombre" rimangono impressi pezzi come "Gone away" e "Amazed" allora c'è qualcosa che non quadra. Nulla di deprecabile, si tratta di ottimi pezzi; ma è come se non facessero parte del dna degli Offspring. "The meaning of life", "All I want" e "Change the world" sono molto più credibili, ma non raggiungono l'intensità dei brani dei primi dischi; un album di passaggio.
5.5/10
Highlights: The meaning of life, Gone away, All I want, Amazed, Change the world.
Attraverso "Gotta get away", "Come out and play" e "Self esteem" la band diventa a tutti gli effetti mainstream; fortunatamente i danni sono trascurabili, il disco è un ottimo esempio di energico rock melodico.
In concomitanza con l'approdo alla Epitaph di Brett Gurewitz (chitarrista dei Bad Religion) avviene anche la meritata emersione dopo anni di underground; dopo "Ignition" gli Offspring non daranno più alla luce un album così genuino.
Il primo album di un ex trio che si faceva chiamare Manic Subsidal e che diventando quartetto nel 1986 trasforma la sua ragione sociale in "Offspring"; il futuro da band superstar della scena pop punk degli anni 90 è già scritto in questi undici brani.
7.5/10
Highlights: Jennifer lost the war, Elder, Demons, Beheaded, Tehran, Black ball, I'll be waiting.
La scelta degli Autechre che si concretizza in uno studio quasi matematico della musica in quanto successione di suoni produce un ennesimo disco oscuro, ma molto più digeribile degli ultimi due estremi album; qui c'è una parvenza di melodia, fondamentale per riuscire ad inquadrare un filo (quasi) logico che riporta la loro musica sul nostro pianeta terra.
7.5/10
Highlights: Lcc, Pro radii, Augmatic disport, The trees, Sublimit.
Inquietante, sconnesso, storto e caldamente sconsigliato a chi non ha i nervi saldi: potrebbe facilmente causare un esaurimento nervoso. A suo modo perlomeno conclude qualcosa, a differenza del suo predecessore.
Parte che meglio non potrebbe, con quel tappeto di vetro steso con cura a creare una tensione irreale per accogliere le prime agognate note; "VI scose poise" è poesia meccanica. Sfortunatamente il disco con il passare dei brani si perde in azzardate astrazioni senz'anima, che stancano in fretta.
5/10
Highlights: VI scose poise, Parhelic triangle, Lentic catachresis.
Una visione rarefatta e irreale; tiepide emozioni perse nelle meccaniche ricerche ritmiche che rendono l'essenza della musica degli Autechre sempre meno intellegibile.
Il terzo disco degli Autechre rappresenta una svolta nel loro percorso sonoro; "Tri repetae" non abbandona la melodia, ma tende a lasciarla maggiormente sullo sfondo per favorire delle sperimentazioni più audaci a livello ritmico e percussivo. Un pezzo come "Rotar" è un buon esempio di come accade tutto questo: mentre una melodia circolare si muove là dietro ci sono dei beat nevrotici in primo piano che ti schiaffeggiano con violenza. Da questo momento in poi il termine ambient comincia a stare stretto al duo, che nonostante si ostini a non volere essere categorizzato finisce per essere considerato un atto cardine del circuito Idm.
Ottima la terza, miss Nelly. E gran parte del merito va a quel genio di Timothy Mosley (meglio noto come Timbaland), semplicemente strepitoso in quel capolavoro che è "Promiscuous".
Il meglio Luke lo tira fuori con l'acido, non quando divaga in docili beat ninja tune style e altri giochetti che appaiono scontati per una mente come la sua.
Non è mai stata una voce "facile" quella di Louise Rhodes. Per apprezzare il lato oscuro dei Lamb (lei e Andrew Barlow) ci vuole un bel po' di pazienza; ma come tutte le cose che richiedono un certo impegno, il risultato è che una volta metabolizzate ripagano i tuoi sforzi con una soddisfacente sensazione di completezza. Questo disco prende le distanze dal Lamb-sound, puntando sull'acustica pura; la sensazione di difficoltà descritta qui sopra permane, visto che occorrono diversi ascolti per capire le intuizioni melodiche tutt'altro che scontate di Louise. Certo è che quando si lasciano prendere è davvero un bel sentire.
8/10
Highlights: Each moment now, Treat her gently, No re-run, Beloved one, Save me, To survive, Why.
Lezioni di break in un disco quasi perfetto. La violenta title-track rappresenta alla perfezione il lato crudo (raw, appunto) dell'album: l'approccio ruvido si ritrova anche in pezzacci come "The slammer", "Punks", "Warrior charge" e "Right on". La faccia più melodica invece è in "Losing you" e "Too far" (cantate da Julie Thompson, scoperta da James Holden l'anno prima), nell'ottima electro-digressione "Boom blast" e nell'irresistibile singolo "Push up", che fa ballare pure i morti.
Miscela killer di breakbeat, old school electro, hip-hop e dancehall; esordio col botto soprattutto perchè il tutto è reso accessibile da una produzione splendidamente pop.
8/10
Highlights: Freestyle noize, Don't stop, Here we go, B-boy stance, We rock hard, Ruffneck, Warning.
Folk bastardo che sfocia irrimediabilmente e irresistibilmente nel pop non convenzionale, a partire dalla scrittura fino alla gestione del mixaggio del disco; ed è una di quelle rare volte in cui anticonvenzionale non fa rima con "tutta tecnica e niente cuore", tutt'altro. Un vero miracolo.