Non lasciatevi ingannare da brani come "Code 1026" e "Europa"; sono degli esempi di come Devaud riesca a scuotere il dancefloor (sempre che tale dancefloor sia di palato fine, attento conoscitore della techno e soprattutto non così underground da denigrare qualsiasi tipo di melodia). Quindi gustateli, ballateli, ma non fate l'errore di pensare che Agoria nasca e muoia in quei beat frenetici e ossessivi; vi perdereste cose tipo "Million miles" (una perla da salotto composta e cantata da Neneh Cherry), "Baboul hair cuttin" (una sorta di hip-hop futuristico e drogato),"Edenbridge" (con il featuring da applausi di un Peter Murphy che fa il verso a David Bowie e ci riesce bene) e "Les violons ivres" (il capolavoro dell'album, un'epica composizione classica per archi ad opera di Francesco Tristano Schlimè che si sposa con una base ipnotica e sognante).
8/10
Highlights: Baboul hair cuttin, Code 1026, Million miles, Europa, Edenbridge, Les violons ivres.
Primo album per Sebastien Devaud, dj e producer francese. Il mix di atmosfere Detroit con elementi clash è perfetto, e il paragone con i Daft Punk non stona affatto; basti ascoltare l'andamento "da funk-iano" dell'introduttiva "Think different" oppure il gusto rock di un pezzo come "Stereolove". Meritano una menzione anche gli episodi più rilassati come la mistica "Presque un ange", l'eterea "Worth it" con la voce di Ann Saunderson e la leggiadria jazzy di "Haiku".
I Death From Above 1979 sono un duo canadese che nel breve spazio di due anni si forma, viene costretto a cambiare nome (originariamente Sebastien Grainger e Jesse F. Keelersolo si facevano chiamare solo Death From Above, ma è una cosa che non è andata giù a James Murphy & soci...geniale trovata pubblicitaria?), pubblica parecchi singoli ed e.p. facendosi remixare da nomi importanti (i remix verranno raccolti in un cd intitolato "Romance bloody romance"), da vita a questo disco (banaluccio e orecchiabile punk rock che a volte sfocia quasi nel metal) e poi si scioglie. Ne sentiremo la mancanza?
5/10
Highlights: Romantic rights, Blood on our hands, Black history month, Sexy results.
Nella prima metà degli anni 90 Ed Handley e Andrew Turner (insieme a Ken Downie) si firmavano "Black Dog Productions"; poi hanno deciso di formare questo side-project, dando vita a fiabesche composizioni fra ruvide sperimentazioni IDM e soffici melodie d'ambiente. Penetrante.
Arte. L'esperienza di anni sui synth messa a disposizione di pezzi incantevoli come "Sleeping beauty" con Lou Rhodes o la title track "Disconnected" con Enik; l'hip-hop glitchato stralusso di "Chopping heads" e "Fat camp feva", roba da Ninja Tune in acido; e la consapevolezza che il viaggio è costantemente sostenuto da un suono puro e cristallino, che solo due nerd dell'elettronica possono tirare fuori. Ribadisco, arte.
Michael Fakesch e Chris De Luca alle prese con le loro sperimentazioni strumentali elettroniche contaminate occasionalmente da rime hip-hop ("Sounds like a break record", "Grammy winners") e da qualche linea cantata ("Think!", "Red shirt white shoes"); intelligente e super raffinato.
7.5/10
Highlights: Appetite for disctruction, Sounds like a break record, Think!, I/O, Red shirt white shoes, A bottle a box and a mic.
L'esordio di quel matto di Jean-Baptiste de Laubier; il temperamento non si discute, e l'ascolto riesce a scorrere che è una meraviglia pur in mezzo a tonnellate di isterismi, glitch e taglia e cuci schizofrenici.
A forza di dischi di livello Mike Monday si è guadagnato la stima di molti ed ora è giustamente considerato uno dei producer più convincenti del panorama house elettronico odierno; il suo più grande pregio è quello di avere reso ogni produzione che ha firmato riconducibile ad un suo preciso ed identificabile stile. Lo stesso che è presente in questi dieci brani, semplici ma irresistibili.
8/10
Highlights: What day is it, Fun with a k, Thing, Ode to Jack, I dream of ducks, When the rain falls.
Aumenta il raggio d'azione di Ramble Jon, che oltre a cercare l'ispirazione in nuovi territori inietta delle rilevanti quantità di melodia e soul in più rispetto al disco precedente; "Since we last spoke" è anche turbato da una cauta malinconia che lo rende più scuro e vulnerabile di "Deadringer".
7.5/10
Highlights: 1976, Ring finger, Making days longer, To all of you, Clean living, One day, De l'alouette.
Storie di cut'n'paste, hip-hop orchestrale, rumori di vinile e interludi scratchati; lui si chiama Ramble Jon Krohn e qualcuno ha detto che è il prossimo Dj Shadow. Basta?
8/10
Highlights: Smoke & mirrors, Good times roll pt.2, Final frontier, Ghostwriter, Cut out to fl, F.h.h., June, Work.
Da perfetta "cavalcatrice di trend" Merrill Beth Nisker capisce che insultare Bush è parecchio fico, e allora ecco spiegato questo fantastico gioco di parole con un doppio senso (uno politico e l'altro, guarda caso, sessuale); discorsi off-music a parte questo disco mostra un'innegabile maturazione artistica, contraddistinta da una maggiore sensibilità rock'n'roll ("Boys wanna be her", "You love it" e "Giv'er") e dalla capacità di scrivere dei pezzi che sono il giusto compromesso fra pop, electro e r&b ("Tent in you pants" e la perfetta "Downtown").
7.5/10
Highlights: Tent in you pants, Hit it hard, Boys wanna be her, Downtown, You love it, Giv'er.
Tolti il country-shuffle di "Tombstone, baby", il neanche poi così strabiliante rock zoppo di "Kick it" (con ospite Iggy Pop) e qualche altra filastrocca contagiosa quel che resta è un album noioso e non all'altezza delle aspettative.
6/10
Highlights: Kick it, Operate, Tombstone baby, Stuff me up, The inch, Bag it.
La sottile arte del divenire cool senza inventare nulla di nuovo, ma puntando invece sulle sicurezze (il sesso) ed estremizzandole (volgarità gratuita accompagnata da un'immagine e da testi espliciti). Parlando invece di musica qui tutto è stato fatto con poco (volutamente) e la carenza di arrangiamento è insita nell'approccio electro-punk della signorina Merrill Nisker, che (quasi inutile sottolinearlo) non è una grande cantante; naturalmente per questo tipo di musica non occorrono delle doti canore inarrivabili, ma piuttosto un timbro accattivante e la capacità di riuscire a mantenere alta la tensione anche nei (per la verità non rarissimi) momenti di piatta del disco. E Peaches intrattiene, senza dubbio; certo che dopo un po' tutti quei suck-fuck-eccetera cominciano a diventare un po' scontati.
7/10
Highlights: Fuck the pain away, Aa xxx, Rock show, Set it off, Diddle my skittle, Lovertits.
Fulgido atto primo per Alex Dandi e Fresh Drumma, un duo attivo da più di tre anni con lo pseudonimo Pinktronix; da ricordare le vibrazioni old-school house di "Submission", le scorribande new wave di "Emopro", le rockeggianti "Entity" e "Booty sez", l'acid-citazione "Baby boo" e la solare "Pink champagne", delizia italo-funky.
Il trio californiano inietta delle salutari dosi di funk nei pezzi più spinti mentre continua a sfornare ballad per mantenere la credibilità pop raggiunta con "The reason"; che si tratti di una maturazione oppure di un tentativo di sfruttare l'onda del successo importa poco, perchè "Every man for himself" a livello di produzione e di scrittura è finora il disco più completo degli Hoobastank.
7.5/10
Highlights: Born to lead, Moving forward, The first of me, If I were you, Look where we are, If only.
Plausibile rock melodico che si muove fra passaggi hard ("Crawling in the dark"), una sorta di post-grunge ("Running away") e brusche contaminazioni crossover ("Up and gone"). La voce di Douglas Robb ricorda spesso quella di Brandon Boyd (Incubus), trovando la sua collocazione ideale in pezzi come "Too little too late" e "Let you know".
7/10
Highlights: Crawling in the dark, Running away, Let you know, Better, Too little too late.
L'uomo che ha dato vita alla Border Community si cimenta in un e.p. che essenzialmente racchiude nuove versioni di tracce precedentemente utilizzate nei suoi dj set ma mai uscite su vinile. E lo fa con un stile squisito e con una marcata inclinazione alla sperimentazione, mischiando melodie e rumore bianco, synth angelici e inquietanti crepitii, il tutto amalgamato in stesure personali e poco ordinarie. Se mai ci fosse stato bisogno di una qualche conferma, eccola qui: James Holden è uno dei talenti più completi della scena elettronica odierna.
Non si capisce ancora il senso di un disco come "0304" (2003), un tentativo (miserabilmente fallito) di trasformare Jewel in una popstar da rivista patinata a tutti i costi, anche lottando contro quello che sa fare meglio, ovvero imbracciare la sua chitarra e intonare melodie soavi. Intendiamoci, "This way" (2002) era già pop; ma un pop meno dance e più rockettaro, esattamente quello che ripropone oggi con "Goodbye Alice in Wonderland". Mai scelta di un producer del calibro di Rob Cavallo fu più saggia; lui con la sua spiccata sensibilità melodica nel creare brani facili ma non necessariamente scontati, lui già scelto dal signor Phil Collins dopo quello che aveva dimostrato (in modo più energico) con i Green Day e con i Goo Goo Dolls, lui che di recente ha messo le mani anche sull'ultimo lavoro di My Chemical Romance, dettando un punto di svolta nella loro carriera. Dopo "0304" ci voleva.
7.5/10
Highlights: Again and again, Goodbye Alice in Wonderland, Good day, Words get in the way, Drive to you, Last dance rodeo, 1000 miles away.
Prendete "Vertigo" dei Groove Armada e trascinatelo dal 1999 al 2006; sette anni dopo "Feels closer" è un mix di profumi e sensazioni che si intrecciano in modo impeccabile, che conducono l'ascoltatore in un viaggio senza tempo. Bentornati.
Layo Paskin & Matthew Benjamin, rispettivamente co-proprietario e dj resident del The End di Londra, al loro album d'esordio; musica più da ascolto che da ballo con ottime intuizioni ritmiche e una discreta quantità di funk.
7/10
Highlights: Spooked, Dead man walking, Bad old good old days, Deep south, Low life, Perfect storm.
100% Placebo; niente svolte, niente esperimenti, niente ambizioni di conquista verso nuovi territori musicali. Chi si aspettava qualcosa di diverso dopo il greatest "Once more with feeling" rimarrà sicuramente deluso, ma c'è da scommettere che saranno di più coloro che apprezzeranno queste melodie di sicuro orecchiabili, ma in fondo sincere.
Ci è voluto un po' più di tempo dei consueti due anni per sfornare "Sleeping with ghosts", ma dato il risultato si può dire che ne è valsa la pena. Oltre ai vari singoli killer spuntano l'affascinante title-track, il rock frenetico di "Second sight" e la toccante "Centrefolds".
8/10
Highlights: English summer rain, This picture, Sleeping with ghosts, The bitter end, Special needs, Second sight, Protect me from what I want, Centrefolds.
"Black market music" è un disco d'assestamento. Nel ribadire le potenzialità dei Placebo con pezzi come "Special k", "Passive aggressive" e soprattutto "Slave to the wage", comincia al contempo a sapere di già sentito con episodi tipo "Days before you came" e "Black-eyed", e infine cerca nuove vie ma senza riuscire nell'intento (vedi il bruttino esperimento simil-crossover "Spite & malice"). Nonostante alcuni scivoloni rimane un album gradevole.
7/10
Highlights: Taste in men, Special k, Passive aggressive, Blue american, Slave to the wage, Narcoleptic, Peeping Tom.
"Pure morning" è droga; una spietata vibrazione che ti striscia dentro lenta e inesorabile. "Brick shithouse", invece, è un pugno in faccia; e poi arriva il secondo singolo, "You don't care about us", rock dritto senza fronzoli. La poesia di "Ask for answers" conferma quanto il trio sia capace di dire la sua anche attraverso pezzi più intimi; attitudine confermata anche dalla cupa title-track, che fa da preambolo al pezzo meno riuscito del disco, la scontata "Allergic (to thoughts of mother earth)". Sanno fare di meglio, i Placebo. Si riprendono parzialmente con un'altra ballad ("The crawl"), ma quello che si aspetta è l'ennesimo singolo, "Every you every me"; la stessa ossessiva inclinazione della traccia che ha aperto l'album unita ad una dose aggiuntiva di dinamismo, la melodia che ondeggia insicura nelle strofe che si tramutano incosapevolmente in ritornello, la metafora della cantilena in forma canzone, un piccolo incompleto capolavoro. "My sweet prince" è un malinconico trequarti industriale, con il riverbero sulla voce di Molko che amplifica la potenza delle rime di un lento da brividi; i sei ottavi scanditi in "Summer's gone" sono meno tristi ma comunque emozionanti, la sferzata di "Scared of girls" è tralasciabile, il finale sussurrato di "Burger queen" conclude a modo un disco da non dimenticare.
8/10
Highlights: Pure morning, Brick shithouse, You don't care about us, Ask for answers, Every you, every me, My sweet prince, Summers' gone.
Il Duca Bianco non si può sbagliare; la sua scelta di portarsi i Placebo in tour nel 1996 è più che giustificata, essendo questo loro album di debutto un concentrato di energia e capacità che sfocia (anche e soprattutto grazie a quella voce tremula ed indecisa di Brian Molko) nella costituzione di un impasto sonoro particolare e immediatamente identificabile.
7.5/10
Highlights: Come home, Bionic, Hang on to your iq, I know, Bruise pristine, Lady of the flowers.
Classico poppy punk rock melodico, ma con le palle.
7/10 Highlights: Tell that Mick he just made my list of things to do today, Dead on arrival, Grand theft autumn - Where is your boy, Sending postcards from a plane crash (wish you were here), The pros and cons of breathing, Calm before the storm, The patron saint of liars and fakes.
Il Robbie che conosciamo che si muove fra cover e pezzi d'ispirazione ottanta; apprezzabili gli interventi di Soul Mekanik e Pet Shop Boys, un po' cheesy il rifacimento di "Kiss me" di Stephen 'Tin Tin' Duffy.
7/10
Highlights: Rudebox, Lovelight, Bongo bong, She's madonna, Keep on, Never touch that switch, Louise.
La parola punk va sfumando lasciando spazio ad un più radiofonico "pop-rock". Il rischio è ovviamente quello di cadere nei luoghi comuni, ed è esattamente quello che accade in "The black parade"; ma il suono e le melodie sono talmente superiori al passato da far si che i due album precedenti non vengano in alcun modo rimpianti.
Il ritorno dei Rapture avviene quando il famigerato punk-funk è già morto e sepolto; forse anche per questo la produzione non è più ad opera dei Dfa, ma è affidata al gusto rock di Paul Epworth (già al lavoro con Bloc Party e Futureheads) coadiuvato dal tocco elettronico di Ewan Pearson. Il risultato è pregevole, considerando anche il fatto che la band ha notevolmente affinato le proprie capacità di esecuzione.
Tim Goldsworthy e James Murphy l'hanno combinata grossa con questo disco; i due "Dfa" dopo avere messo le mani su Le Tigre e Radio 4 producono i Rapture, portando definitivamente sulla bocca del popolo un nuovo termine: "Punk-funk". Astuto ed energico rock da ballare.
7.5/10
Highlights: Olio, I need your love, House of jealous lovers, Echoes, Sister saviour, Love is all.